I Club degli Alcolisti in Trattamento (CAT) rappresentano oggi in Italia il modello più diffuso d’intervento sui problemi alcolcorrelati. Questa metodologia è stata sviluppata dal Prof. Vladimir Hudulin a partire dal 1964 fino al 1996, anno della sua prematura scomparsa.
Psichiatra di fama mondiale, per circa trenta anni Direttore della Clinica di Psichiatria, Neurologia, Alcologia ed Altre Dipendenze presso l’Università di Zagabria, per lungo tempo consulente dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il Prof. Hudolin dedicò gran parte della sua attività allo studio dei problemi legati all’uso di alcol e di altre droghe fin dall’inizio degli anni ‘50.

Nel 1964 cominciò ad organizzare programmi sia ospedalieri sia ambulatoriali che si articolavano con piccoli gruppi di persone con problemi legati all’alcol nel territorio della città di Zagabria, che chiamò Club degli Alcolisti in Trattamento e che poi si diffusero capillarmente a livello territoriale in tutta la ex-Jugoslavia. Basti pensare che prima che scoppiasse la guerra civile nel 1992 nella sola Croazia esistevano più di 1200 CAT.
L’aspetto rivoluzionario dell’approccio del Prof. Hudolin derivava dal fatto che non si occupava solo dell’alcolismo di poche persone, ma del bere di tutti. Attraverso le settimane di formazione infatti il Prof. Hudolin non solo forniva la metodologia di trattamento degli alcolisti e delle loro famiglie, ma soprattutto metteva in discussione la nostra “cultura del bere” proponendo il suo modello che negli anni era andato definendosi come “l’approccio ecologico sociale ai problemi alcolcorrelati e complessi”.
Questo interpreta l’alcolismo e gli altri problemi alcolcorrelati né come un “vizio” né come una malattia, ma come un comportamento, uno stile di vita, determinato da molteplici fattori interni che esterni alla persona, tra i quali particolare importanza riveste la famiglia e la cultura generale e sanitaria della comunità dove le persone vivono e lavorano. L’accento veniva così spostato dall’alcolismo al bere.
Una tappa molto importante per lo sviluppo di questa metodologia fu però sicuramente la fondazione del primo club in Italia nel 1979: è stato infatti nel nostro paese che l’approccio del Prof. Hudolin ha conosciuto il suo massimo sviluppo.
Nel 1979 in Italia esistevano solo pochi centri che si occupavano d’alcolismo (fra questi ricordiamo Firenze, Dolo, Arezzo) mentre non esistevano veri programmi territoriali, fatta eccezione per i gruppi degli alcolisti anonimi, nati anche in Italia, ma solo pochi anni prima..

I CAT sono comunità multifamiliari composte da un minimo di due ad un massimo di dodici famiglie più un “servitore-insegnante”, che è una persona che ha ricevuto una formazione per occuparsi dei problemi alcolcorrelati presenti nella propria comunità e che opera a titolo volontario. Le famiglie si riuniscono settimanalmente insieme al servitore-insegnante per affrontare e condividere i propri disagi ed esperienze e sviluppare un clima di solidarietà e di amicizia.
Nel Club è richiesto, ma non imposto, a tutta la famiglia, di astenersi dall’alcol e di crescere insieme verso uno stile di vita sobrio.
Alcuni dati possono riassumere quanto realizzato da questo movimento in questi 20 anni di attività:
•In Italia oggi esistono oltre 2.050 CAT presenti in tutte le regioni e maggiormente sviluppati in quelle del nord-est, dove il movimento è cominciato (slide 1).
•Nei suoi diciassette anni d’attività in Italia il Prof. Hudolin ha formato più di 10.000 operatori che non solo svolgono le mansioni di “servitori” nel club ma costituiscono la gran parte degli operatori dei centri alcologici a livello del sistema sanitario pubblico.
•Dal 1980 in Italia il consumo medio pro-capite annuo di alcol anidro è diminuito di oltre il 40%, e cioè molto di più di quanto indicato dall’OMS nel “target 17” del progetto “Salute per tutti entro l’anno 2000”. A livello internazionale alcuni ricercatori hanno parlato del “paradosso italiano”, in quanto questa importante diminuzione si è realizzata senza alcuna specifica politica di sanità pubblica, differentemente da molti altri paesi che non hanno ottenuto risultati così importanti nonostante avessero investito notevoli risorse. Naturalmente la spiegazione di un fenomeno così complesso non può risultare univoca e certa, ma i grafici dei consumi italiani mostrano una diminuzione costante proprio a partire dall’anno 1980.
•In molte aree il lavoro dei programmi territoriali per i problemi alcolcorrelati e complessi ha coinvolto più del 1% della popolazione, raggiungendo così quel livello indicato dal Prof. Hudolin come sufficiente per un reale cambiamento nella cultura generale e sanitaria di una comunità.
•Nei programmi per il trattamento dei problemi alcolcorrelati realizzati a livello territoriale esiste una reale e concreta cooperazione fra i servizi sociali e sanitari pubblici ed il settore privato (CAT) che ha condotto a risultati molto buoni e i costi sono pressocchè nulli, dal momento che nella stragrande maggioranza dei casi i servitori operano come volontari.
•Nel periodo 1992-95, sulla base di un progetto presentato dalla Regione Friuli-Venezia Giulia e finanziato dal Ministero della Sanità, l’Istituto Superiore di Sanità ha sviluppato un importantissimo progetto di valutazione del trattamento realizzato attraverso i CAT, dal nome VALCAT. Questo protocollo prevedeva la rilevazione dei risultati ottenuti da un campione significativo di alcolisti (854) e le loro famiglie che avevano iniziato la frequenza nel mese di febbraio 1992 attraverso tre rilevamenti eseguiti dopo 6, 18 e 36 mesi di frequenza al club: i risultati furono eccezionali. Dopo 6 mesi l’88% degli alcolisti avevano fatto registrare risultati positivi (astinenza + miglioramento della qualità della vita), dopo 18 mesi, pur diminuendo, rimaneva un buon 79% ad avere risultati positivi, e questo dato rimaneva assolutamente invariato dopo addirittura 36 mesi.
•Ad oggi la raccolta bibliografica di quanto pubblicato in Italia sull’approccio ecologico-sociale, aggiornata periodicamente dal dott. Michele Sforzina per la rivista “Camminando Insieme” (la rivista ufficiale dell’Associazione Italiana dei Club degli Alcolisti in Trattamento) raccoglie più di 3.000 voci, di cui più di 50 sono volumi.
•Dalla metà degli anni ’90 questo approccio è stato esportato dall’Italia in numerosi Paesi sia europei che extraeuropei (a parte la Croazia dove in realtà sono nati). Oggi i CAT sono presenti in 30 paesi oltre l’Italia: Albania, Bielorussia, Bosnia, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Grecia, Macedonia, Montenegro, Serbia, Norvegia, Islanda, Polonia, Russia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Brasile, Cile, Argentina, Ecuador, Mauritania, Cameroun, Congo, Kenya, India, Sri Lanka.
•L’ultima edizione dell’ampio manuale sull’approccio ecologico-sociale è stata anche e tradotta in lingua inglese e croata; il manuale scritto da Laura Musso sulle scuole alcologiche territoriali (“…e allora come ?”) è stato tradotto in 10 lingue.
•Dal 1998 vengono realizzati con cadenza annuale a Lignano Sabbiadoro corsi internazionali in lingua inglese, in collaborazione con la Scuola Europea di Alcologia e Psichiatria Ecologica, per la formazione dei servitori-insegnanti di vari paesi europei ed extraeuropei. Corsi di formazione sono già stati organizzati all’estero, in particolare in Spagna, Ecuador, Cile, Brasile, Argentina, Danimarca, Norvegia, Croazia, Slovenia, Congo, Sri Lanka.
•I club accolgono anche quelle situazioni in cui i problemi alcolcorrelati si combinano con altri problemi di particolare gravità (uso di altre droghe, problemi psichici, senza dimora, ecc.) purchè la percentuale di queste situazioni non superi il 20% delle famiglie presenti all’interno di ciascun club: anche in questi casi i risultati sono molto buoni.
•I risultati del lavoro dei club, sottoforma di autovalutazione dei componenti dei club,  vengono rilevati annualmente attraverso le banche dati regionali e nazionali e sono regolarmente pubblicati sui vari siti internet delle associazioni dei club (tra i quali segnaliamo www.aicat.net) e mostrano come, attraverso la frequenza al club, non solo si è ha una netta diminuzione nel consumo di bevande alcoliche (riduzione dell’84-86%) e nell’uso di altre droghe (riduzione dell’83%) ma anche di tutte le altre problematiche, ed inoltre, fatto assolutamente non secondario, tutto ciò si accompagna con un estremo gradimento da parte delle famiglie della loro frequenza al club (media gradimento 8,5 su 10).
 
Grazie all’incoraggiamento rivolto a tutti i membri della famiglia a frequentare il Club, spesso sono presenti anche i  bambini ed i ragazzi. I giovani, nelle cui famiglie sono presenti problemi alcolcorrelati, vivono infatti un’esperienza complessa e dolorosa, che può pregiudicare un progetto di vita sereno e fiducioso. Questi giovani trovano nel club una situazione di vita privilegiata, dove esternare i propri problemi ed intraprendere un cammino di crescita e maturazione che permetta loro di superarli.

Ai Club ed alle associazioni provengono molte richieste dalla comunità, in particolare dalle scuole, per interventi sulle problematiche dell’alcol. Tali interventi di sensibilizzazione sono messi in atto dai volontari delle varie associazioni locali, ma è bene dire che essi sono significativi solo quando coinvolgono tutte le componenti: allievi, insegnanti, genitori, e si propongono come uno degli elementi del percorso educativo, in particolare dell’educazione alla salute.

Il Liguria la diffusione dei CAT ha raggiunto i 50 gruppi, compresi alcuni gruppi presenti dentro il carcere di Marassi. Di questi quasi 40 solo a Genova e sobborghi.

Il programma sviluppato in Italia in questi ultimo trent’anni grazie al  Prof. Vladimir Hudolin non solo ha mostrato di essere una reale e concreta risposta per il trattamento dell’alcolismo e degli altri problemi alcol correlati, ma soprattutto di essere stato un grandissimo progetto di salute mentale, una sorta di “rivoluzione silenziosa”, in quanto si è realizzato lontano dai riflettori e dai clamori che invece hanno accompagnato in questi anni le altre profonde trasformazioni nell’ambito della psichiatria e delle tossicodipendenze.

di Ennio Palmesino

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