Durante la mia quotidianità lavorativa incontro diverse persone e diverse storie, quella che vorrei presentare oggi riguarda l’esperienza di una madre e di una famiglia  che hanno imboccato la strada della riappacificazione. Userò lo stile dell’intervista così da poter rendere evidenti le tappe che Patrizia ha evidenziato di questo  percorso.

1) I sentimenti dominanti nella tua esperienza di vicinanza con la droga.
“Il sentimento che mi ha accompagnato e devastata per molto tempo è stato il senso di colpa, se mio figlio si era drogato, era colpa mia e di conseguenza solo io avrei potuto salvarlo, tutto quello che avrei fatto o detto sarebbe stato determinante per il suo futuro.  Passavo in modo altalenante da uno stato di paralisi a quello di onnipotenza, poi c’era la  rabbia che, in quei momenti di disperazione, non riuscivo a controllare, a gestire e a usare per dare energia alle mie richieste. E soprattutto mi sentivo senza diritto di parola.”

2) Cosa ti ha permesso di affrancarti da questo tipo di sensazioni.
“Se oggi riesco a controllare, gestire e convivere con i sentimenti da cui ero pervasa all’inizio del cammino è stato quando sono riuscita a non essere più “dipendente” da mio figlio, quando sono riuscita a “differenziarmi” da lui. In quel periodo ero solo la mamma di A. e lo ero in ogni situazione e con chiunque. Nel momento in cui ho riconosciuto e dato voce a me stessa sono riuscita a riconoscere lui, oggi sono Patrizia che è la mamma di A. ma anche la mamma di altri , la moglie, l’amica, la collega ecc. Questo passaggio mi ha aiutato a guardare e a vedere Alessandro per quello che è oggi facendo i conti con la sua storia di tossicodipendenza, che non vuole dire negare,   giustificare o accettare passivamente tutto quello che è stato, ma andare avanti credendo che si può, facendosi aiutare, intraprendere un percorso di ricerca del cambiamento imparando a usare le proprie risorse personali e a confrontarsi non solo con gli altri ma anche con se stessi.  Mi sono perdonata e l’ho perdonato.”

3) C’è un momento particolare che ti ha fatto guardare al presente e al futuro con più serenità.
“Nel momento in cui abbiamo capito che da soli non potevamo farcela e avevamo bisogno di aiuto, abbiamo incontrato il Ce.I.S. Senza esagerare posso dire oggi che quell’incontro ha cambiato la mia vita e quella della mia famiglia.  Ritrovarsi “a casa” dopo essersi persi, riprovare senso di appartenenza, fiducia, potersi affidare, sentirsi accolti e accettati e potere riscoprire di avere nuovamente un ruolo nella propria vita, esserne di nuovo attori. I gruppi con i volontari e gli altri genitori sono stati fondamentali. Il gruppo è il luogo dove abbiamo condiviso soprattutto emozioni senza sentirci giudicati, dove ci siamo confrontati  imparando che non siamo “io e l’altro” ma “io e l’altro/io” con la stessa dignità, accettando i propri limiti, le proprie mancanze e quelli dell’altro sostenendosi nell’andare oltre.”

4) Hai incontrato l’esperienza della pacificazione nella tua storia.
“Credo di sì, nel mio percorso mi sono rappacificata con me stessa e con mio figlio. Mi ha aiutata molto essere riusciti a creare nuove alleanze fra me e mio marito. E’ stato un processo, una crescita interiore, un lungo cammino, direi un atto di volontà perché l’esperienza che abbiamo vissuto è stata talmente dolorosa che ha richiesto di “stare molto tempo nel perdono”. La pacificazione è un cammino molto lento che va curato con costanza e dedizione.”

5) Se invece di una conclusione dovessi ispirare una continuazione cosa diresti oggi.
“Userei le parole di Roberto Saviano “Non sempre è possibile decidere il proprio destino. Però si può sempre decidere la maniera in cui starci dentro”.”

di Ivan Mario Cipressi