La parola svuota-carceri mi porta alla mente un’operazione di pulizia che risponde più alle  logiche di creazione di spazi abitabili che non di politica criminale. E’ per questo che preferisco non usare una terminologia tanto riconosciuta quanto inadeguata ad uno stato civile.

Il decreto legge 23.12.2013 n. 146

Mi preme premettere questa riflessione per poter  meglio parlare di questo ultimo provvedimento legislativo che sembra avere una maggiore incidenza sulla popolazione carceraria di quanto non ne abbiano avuti quelli precedenti, più demagogici che efficaci.

L’intento  del decreto legge 23.12.2013, n. 146 è quello di intervenire con l’obiettivo di diminuire in maniera selettiva e non indiscriminata, il numero di persone ristrette in carcere, a differenza di un provvedimento di clemenza collettiva.

La persecuzione di questo obiettivo avviene attraverso una modalità che il Governo definisce “intervento chirurgico”, specie per quanto riguarda la differenziazione tra spaccio e piccolo spaccio di cui diremo oltre.

Questa volta il governo pare aver affrontato  alcuni nodi cruciali che inficiavano veramente il dettato costituzionale che vede nella pena un momento rieducativo, eliminando quelle storture che da tempo chi opera nel campo del recupero dei tossicodipendenti aveva denunciato essere incompatibili con la volontà del legislatore di avvantaggiare il cambiamento, effettuando un’operazione di politica criminale lungimirante nel senso della prevenzione della recidiva.

Infatti è proprio questo elemento che comincia timidamente a trasparire dalle norme appena licenziate, un intendimento che era rimasto stritolato da strategie di sicurezza spesso contraddittorie.

Pensiamo, dunque, all’abrogazione del comma 5 dell’art. 94 T.U.DPR 309/90 che inibiva la concessione dell’affidamento in prova speciale per tossicodipendenti per più di due volte. L’eliminazione di questo tetto consente a tutte le persone gravate da dipendenza in esecuzione dei pena detentiva di poter usufruire della misura dell’affidamento per un numero imprecisato di volte. Mi sembra una preziosa forma di incoraggiamento alla cura, proprio in ossequio al clamore determinato dalla considerazione che i nostri istituti penitenziari sono affollati da tossicodipendenti.

In questo senso anche la norma che prevede che sia il Pubblico Ministero, qualora sopravvenga un nuovo titolo esecutivo nei confronti di persona in misura alternativa, ne dia comunicazione al Magistrato di sorveglianza affinché estenda la misura. Si tratta di una visione ampia della concezione di misura alternativa. Probabilmente il legislatore ha finalmente preso atto che il meccanismo della porta girevole si inceppa più felicemente a seguito della concessione di una misura che si erge al rango di soluzione per la prevenzione di comportamenti recidivanti.

Infine permettetemi di spendere due parole sulla modifica dell’articolo che riguarda lo spaccio di sostanza stupefacente. Ritorna, come nella legge del 1975 la distinzione tra spaccio e piccolo spaccio che il legislatore del 1990 aveva voluto eliminare riducendo la seconda ipotesi al ruolo di circostanza. In realtà questa distinzione nell’immaginario collettivo non è mai venuta meno, un po’ in considerazione della distinzione tra le pene edittali previste,  un po’ perché si è sempre voluta differenziare la figura del tossicodipendente che cede per bisogno da quella del “reale spacciatore”.

Si tratta dell’introduzione di una nuova ipotesi di reato al posto della previgente circostanza attenuante che riduce, addirittura, da sei a cinque anni il massimo della pena edittale

Ecco che il provvedimento licenziato torna a far coincidere il diritto con quanto percepito, con notevoli vantaggi di natura tecnica che, invece, sfuggono ai più.

Tali vantaggi riposano nei termini di prescrizione e nella eliminazione del bilanciamento di circostanze. Mi rendo conto che si tratta di un discorso appannaggio di pochi, ma sul piano sanzionatorio e sull’effetto deflattivo carcerario hanno un incidenza importante.

Molto c’è ancora da fare, stiamo a guardare!

di Avv. Marco Cafiero