Nella disillusione odierna, nell’assenza della contrapposizione dei blocchi e nell’epoca della liquefazione delle ideologie, non è il vuoto che emerge ma bensì l’immensa prateria delle possibilità.

Il concetto o il mito della libertà, evocato da Pisanu, incarnato nella quotidianità di ognuno di noi, se non assume una declinazione illuministica o edonistica ma punta verso la “libertà positiva e partecipativa”, può diventare il collante di una nuova civiltà dell’empatia.[1]

E’ vero, come ben si coglie nella tesi esposta dall’autore che l’adulto di oggi non solo decade come modello, ma in assenza di esperienze codificate ed efficaci d’interpretazione del mondo, lo stesso corre il rischio d’indulgere in facili pessimismi o in eccessive spinte giovanilistiche spesso fuori luogo.

Il vuoto non esiste, anzi oggi la complessità occupa tutti gli spazi possibili della vita.

Nei  “pieni complessi” della nostra quotidianità, con una frequenza sempre più ravvicinata, incontriamo giovani che protestano, propongono e chiedono attenzione; ne sono riprova i movimenti referendari, le marce della pace e i movimenti degl’indignati. Sempre più spesso in quei contesti  nelle prime linee si vedono i volti di giovani.

Ed ecco la necessità di approfondire ed attualizzare il tema della libertà oggi.

Anche per questo concetto, possono esistere declinazioni pratiche,  che possono produrre percorsi di  esclusione o al contrario d’integrazione.

Se percorriamo la strada della libertà razionale, punto di forza delle teorie illuministiche, alla fine del vicolo incontreremo l’idea dell’autosufficienza  che tende ad esclude il rapporto con l’altro, ma se al contrario vogliamo intendere la libertà come un costrutto del legame empatico, il concetto si dilaterà non solo fino al confine dell’altro, a cui non devo pestare i piedi,  ma addirittura al confine del Noi comune.

Ed ecco allora una nuova chiave di lettura dei fenomeni partecipativi dove contemporaneamente si riscontra la presenza di un Noi costruttivo e di un Noi distruttivo. Basti pensare alle ultime manifestazioni romane.

Allora come se ne esce, si chiedeva Pisanu.

Credo che l’attenzione possa essere orientata sulla relazione. Nemmeno l’eremita più estremo si considera libero e slegato dal mondo. La sua dimensione spirituale lo lega alla datità della sua esistenza e riempie di significato la propria vita.

La violenza stessa, indicata nel titolo del testo di Pisanu, può essere considerata come una sfumatura delle tante possibili relazioni, sicuramente la più deleteria perché nega nella sua applicazione la necessità di vicinanza dell’altro a favore della sua distruzione.

Se l’adulto di oggi volesse misurarsi con il nuovo, è su questo campo di gioco che deve provare le proprie capacità.

Convincere se stessi prima ancora degli altri, inserendo in un posto di prim’ordine la relazione che è tra gli architravi della nostra convivenza umana, ci aiuterebbe a vivere con un discreto ottimismo il futuro che ci aspetta.

In un passaggio del libro di Rifkin, la civiltà dell’empatia, l’autore approfondisce con estrema chiarezza la parte più spaventosa di una relazione che si basa sulla vulnerabilità e non sull’autosufficienza: “se la libertà e la capacità di vivere appieno il potenziale delle proprie possibilità, e se la misura della vita è data dall’intimità, dall’ampiezza e dalla verità delle relazioni intrattenute, allora più si è vulnerabili, più si è aperti a relazioni intime e significative con gli altri. In questo senso essere vulnerabili non significa essere debole o vittima, o preda, ma, al contrario essere aperto alla comunicazione al livello più profondo dello scambio umano. Il vero coraggio, affermano i sostenitori dell’approccio incarnato, è consentire a se stessi di essere esposti all’altro.”

Nell’approfondire questo passaggio mi sono interrogato su quanto le attuali nuove modalità di comunicazione mediate dai social network e dalla rete,  rispondano a questo bisogno di fondo. Vale per i nativi digitali   (i giovani di oggi) ma anche per quelli come me meno giovani  che vedono e sentono nelle nuove tecnologie un campo di esposizione delle proprie possibilità di relazione con altri.

A questo punto diventa quasi inevitabile che la questione di fondo  abbia a che fare soprattutto con i linguaggi della relazione e dell’empatia. I gesti, le parole e le azioni visibili, oggi come un tempo sono i riempitivi sostanziosi della relazione e ne diventano contenuto significante della stessa.

La vera novità  risiede nel fatto che forse i più giovani hanno molto di più da dire che non 30 anni fa e per indulgenza mi fermo solo a 30 anni fa.

Da Socrate in poi, molti  hanno sostenuto che la domanda educa molto di più della risposta, se poi a questa consapevolezza aggiungiamo che siamo in presenza di un fenomeno singolare e forse anche abbastanza originale come quello dell’inversione dei ruoli( si pensi soprattutto all’utilizzo dei nuovi sistemi comunicativi e alle nuove modalità di espressione delle emozioni e dei sentimenti),  forse possiamo dire che la novità odierna, se di novità dobbiamo parlare, è che la domanda la potrebbe fare l’adulto. Questo nuovo atteggiamento accrediterebbe ad un lasciapassare che permetterebbe di  entrare nel nuovo mondo dei giovani.

Con molta lucidità, Miguel Benasayag e Gerard Schmit nel loro libro: l’epoca delle passioni tristi, affrontando il tema della libertà sostengono “che la stessa non si costituisce attraverso una specie di autonomia o di isolamento individuale, ma attraverso lo sviluppo di legami: sono questi che ci rendono liberi.”

Allora a questo punto tutto è facile, la strada è tracciata e il futuro ci viene incontro senza difficoltà. Purtroppo non è tutto così lineare, nella nostra società esiste ancora un possibile detonatore che mette a rischio lo sviluppo di una civiltà orientata alle relazioni empatiche, al rispetto delle risorse naturali e ad una visione ecologica della vita.

Il detonatore è il consumismo. Come si deteriorano prodotti, si consumano fonti di energia e si buttano cose perfettamente funzionanti ma eventualmente considerate obsolete, lo stesso atteggiamento può essere rivolto alle persone. Di questo rischio molto si può leggere nell’attenta descrizione di Bauman nel suo libro Modus vivendi [2] . Oggi non solo si rottamano macchine o computer ma anche relazioni, emozioni, sentimenti e persone.

Un ulteriore contributo nella direzione della speranza ci è stato lasciato in eredità da Giorgio Gaber, che nella sua profonda leggerezza scriveva e cantava:

“Vorrei essere libero, libero come un uomo.

Come un uomo che ha bisogno

di spaziare con la propria fantasia

e che trova questo spazio

solamente nella sua democrazia.

Che ha il diritto di votare

e che passa la sua vita a delegare

e nel farsi comandare

ha trovato la sua nuova libertà.

La libertà non è star sopra un albero

non è neanche avere un’opinione

la libertà non è uno spazio libero

libertà è partecipazione.”

di Ivan Mario Cipressi

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1.Jeremy Rifkin: La civiltà dell’empatia ed. Mondadori

2. Zygmunt Bauman: Modus Vivendi. Inferno e utopia del mondo liquido. Ed Laterza