–  Hai visto su Twitter l’ultima su Berlusconi?
No. Non apro il computer da tre giorni.
–  Allora hai visto quello che dice la televisione?
No. Non ho la televisione in casa, non la guardo, se mai la faccio.
–  Ma come, che giornalista sei? Come fai a essere informato?
In computer non si può verificare in bel nulla. La TV non dà informazione, dà spettacolo, quindi non ho tempo da perdere.
–  E allora?
Il giornalista scopre gli eventi e dà loro l’impatto della notizia, li rende cioè informazione d’interesse pubblico. Questo è il mio mestiere. Questo è informare, non passare il tempo al computer o assistere a spettacoli.

–  Aah!
La mania ossessiva di informazioni su questo o l’altro settore, perfino il ricorso a Wikipedia (vedi ad es. sapere malattie o sintomi!), sta prendendo piede in una percentuale che supera il 5% (qualcuno dice già il 10%) di tutti gli utenti della rete.
La smania di sapere è un’ottima cosa. Il fine dell’informatica, in senso sia etimologico che tecnologico, è proprio questo: informare, anche se non solo informare. La capacità e lo scopo di calcolo è infatti un altro dei prodigiosi benefici del computer. Ma quando la curiosità diventa fine a se stessa, specie per le faccende personali di altri o il gossip… allora può essere una forma di dipendenza, strisciante all’inizio, sempre più pesante poi.
Tecnicamente è definita “sovraccarico di informazione”, information overload in inglese, che per la sola Facebook, circa la curiosità sulle notizie personali di cui è fonte, può assommare a 6 milioni di “dipendenti”, dato che nel mondo ci sono già oltre 60 milioni di iscritti o registrati (applicando l’indice del 10%).
A che serve questa follia informativa, che può imporre a chi ne è affetto un tempo di oltre tre ore in media al giorno (vi sono dei casi che arrivano a 10 ore) a stare davanti al video del computer?
A niente, purtroppo. Infatti l’informazione cercata – pura curiosità – non ha un contenuto valido e utile, si ferma alla sola conoscenza. La sola conoscenza non dà crescita, progresso, miglioramento. Ci riferiamo a chi sta davanti al computer per scopi non professionali, ovviamente.
Le conseguenze di questa mania di ricerca informativa sono:
– alienazione dalla realtà e fuga nell’astratta logica virtuale
– senso di onnipotenza da controllo
– schizofrenia selettiva: solo ciò che interessa e piace, via tutto il resto
– abbandono o distacco delle relazioni interpersonali
– disgregazione degli orari riguardanti la vita normale
– scambio della notte col giorno (nella notte si è meno disturbati al video)
– scarso rendimento scolastico e lavorativo.
La prevenzione e la cura di questa forma di dipendenza, soprattutto se si tratta di ragazzi in adolescenza, non è per niente facile.
Anzitutto occorre socializzare il dato di fatto di questa “mania compulsiva a sapere”. Tutti cioè i membri significativi della famiglia devono conoscere che lui o lei usano il computer in modo ossessivo. Non si tratta di etichetta, lo scopo è favorire e migliorare le comunicazioni interpersonali e le relazioni di vita reale. Già di per sé quest’attenzione alla persona e la messa al centro dell’interesse dà al “video-dipendente” percezioni nuove e diverse.
Quindi serve molto impostare una chiara gestione degli orari di accesso a internet e conseguente controllo della spesa.
Fare il punto ogni settimana dell’andamento delle cose, con una programmazione, dei tempi liberi e quelli di relazione tra persone, sempre più aperta e responsabile.
Ribadire per tutti, comportandosi di conseguenza, che il computer è uno strumento non il fine della vita.
Nei casi più seri occorre il lavoro di uno psicologo che aiuti il ragazzo o la ragazza a guardarsi dentro e a trovare la via d’uscita da questo interesse totalitario.
Ma pure persone adulte si trovano con le spalle al muro.
“Vivo con un cadavere in casa”, mi ha confidato un uomo di 35 anni, la cui moglie s’è legata col fil di ferro a Facebook e vi passa quasi tutta la notte.

Gigetto De Bortoli