“Auto mutuo aiuto” ed “energie riattivabili”: sono questi i due concetti fondamentali che emergono dal vivace dialogo tra Sara Di Antonio e don Giuseppe Dossetti jr. in un libro intervista che, oltre a celebrare i trent’anni della nascita del Centro di Solidarietà di Reggio Emilia, si pone l’obiettivo abbastanza esplicito di proporre ciò che a tutti gli effetti si configura come un alternativo e per molti versi nuovo modello di comunità politica.

di Sara Di Antonio con Giuseppe Dossetti, Aliberti Editore, pp. 123

“Io ti aiuto ad aiutarti”, potremmo tradurre così un principio, quello dell’auto mutuo aiuto, che il CeIS di Reggio Emilia ha preso dalla tradizione degli Alcolisti Anonimi e fatto proprio sin dalle sue origini. Responsabilità diventa allora la parola chiave: come l’uomo è responsabile della sua miseria, altrettanto può esserlo del suo riscatto. Certo non da solo. L’arma segreta, per così dire, diventa allora la relazione, la creazione di legami forti. Dossetti cita il filosofo, teologo e pedagogista Martin Buber la cui grande intuizione fu quella di riconoscere come l’Io non esista al di fuori della relazione. Anzi, di più: “Il fatto fondamentale dell’esistenza umana è l’uomo con l’uomo”.

Appare dunque evidente che il tema della tossicodipendenza (ma sarebbe molto meglio parlare più genericamente di “dipendenza”), nucleo originario dell’attività del Centro, possa fungere da osservatorio privilegiato sui fenomeni umani e sulla loro natura. Al di là delle motivazioni contingenti più o meno strumentali che portano alla dipendenza da sostanze tossiche o da comportamenti disfunzionali, nell’intervista si sottolinea molto chiaramente la dimensione più profonda dell’agire autodistruttivo.

Dossetti riprende Pascal: “L’uomo può comportarsi in modo stupido, ma il motivo di tale comportamento non è mai stupido”. Non è stupida infatti quella tensione spirituale (non necessariamente religiosa) generata dalla “eterna insoddisfazione” dell’uomo. Anzi, è positiva.

Sempre Pascal direbbe che essa altro non è se non il segno che l’uomo è più grande della sua miseria.

Ri-orientare questa tensione significa ri-attivare energie umane latenti che possono essere positivamente spese per il bene della singola persona così come per il bene della comunità cui ella appartiene. Ecco spiegata la dimestichezza con la quale il Centro di Solidarietà di Reggio Emilia ha esteso nel corso degli anni il proprio raggio d’azione a diverse realtà (o “mondi vitali”, parafrasando Ardigò e Husserl) apparentemente, ma solo apparentemente, slegate tra loro, partendo dalle tossicodipendenze e dai relativi contesti familiari, passando alle altre dipendenze cosiddette “comportamentali”, ai malati di Aids, agli immigrati, sino a giungere ai minori.

Bacini di energia vitale che lasciati a loro stessi o mal governati possono dar luogo a enormi danni, al contrario se accompagnati con intelligenza possono produrre conseguenze estremamente positive. Con una consapevolezza che ha quasi il sapore di una legge fisica: maggiore è la sofferenza, maggiore è l’energia positiva potenzialmente sprigionabile.

Quello che si delinea è allora un modello sociale e di welfare che abbandona il principio della delega, del cittadino confinato (e auto-confinato) nella posizione dell’utente. Ciò che deve avvenire è invece un trasferimento di competenze alla persona che chiede aiuto, il tutto all’interno di una logica di comunità. La sfida lanciata è elevata. È una sfida politica e culturale, tanto più urgente in un momento storico di drammatica crisi come quello attuale. È una sfida che definirei sistemica. Significa cambiare mentalità, guardare l’Altro come uomo, nella sua interezza, nella sua complessità, nelle sue ambivalenze, nelle sue potenzialità, nelle sue tensioni. Che sono anche le nostre.

di Francesco Rossi

fonte: 24Emilia.com