In questo preciso momento storico occorre fare il punto sulla situazione sanzionatoria che il nuovo Governo sta esprimendo sul tema della sicurezza.

I provvedimenti che partono dal Decreto Sicurezza, passando per la licenzianda legge sulla legittima difesa per giungere all’ipotesi di revisionare il DPR 309/90, non stupiscono attesa l’ideologia che anima l’orientamento politico in corso.

La sicurezza del territorio attraverso politiche di inclusione

Quello che stupisce ancora è come uno Stato evoluto che ha avuto modo di riflettere a lungo sull’efficacia della sanzione, non solo per sconfiggere la criminalità, ma come elemento di prevenzione e di inclusione si arresti e compia prodigiosi passi indietro.

Sembra che ogni conquista moderna  subisca un momento di arresto per ripercorrere strade già battute e risultate inidonee a creare benessere alla popolazione. Si pensa, dunque, che il benessere passi per la repressione e non per la pacificazione collettiva, finanche in tema di immigrazione

Il mondo sociale, rappresentato anche dal Forum del Terzo Settore, ha sempre posto al Centro dell’intervento sul territorio la creazione di benessere e la sconfitta del malessere sociale.

I dati ci confermano che una politica estremamente repressiva, oltre a portare alla creazione di uno Stato di Polizia, aumenti il conflitto sociale esasperato anche dall’esposizione mediatica che amplifica la rabbia dei cittadini nei confronti di qualsivoglia tipo di violazione.

Si pensa solo a contenere la rabbia dei cittadini senza preoccuparsi di contenere i deficit che producono devianza attraverso politiche di prevenzione e di educazione alla legalità.

Quest’ultima dovrebbe rappresentare un elemento di insegnamento fino dalla scuola primaria ingenerando la forma di rispetto per l’altro, l’accettazione della diversità e l’apertura al pluralismo culturale. Ritengo sia più importante imparare a convivere che conoscere l’esatta successione dei sette re di Roma.

Le teorie sociologiche che individuano la devianza nell’aspetto genetico o nel fattore ambientale vengono continuamente smentite a favore di un approccio multifattoriale che la comunità sociale deve tenere in debito conto. Il pensiero più evoluto a riguardo  passa inosservato dagli Organi Istituzionali più preoccupati a rispondere a situazioni emergenziali, quasi sempre strumentalizzate, a favore di un’ideologia politica affatto aderente alla realtà sociale.

Il volontariato è utilizzato in modo incompleto: all’interno delle istituzioni carcerarie solo come forma di contenimento, nelle aule giudiziarie come strumento deflattivo di un carico enorme.

In realtà il volontariato, oltre ad essere animato da valori di solidarietà, è caratterizzato da una professionalità che cresce e stimola risorse a tutti i livelli.

Le misure alternative alla detenzione che coinvolgono il terzo settore per costruire percorsi di inclusione vengono continuamente messe in discussione e ritenute responsabili di inefficacia della sanzione, senza tenere conto di dati oggettivi che le attestano come foriere di una forte riduzione della recidiva. Lo stesso non può dirsi della pena detentiva che determina costantemente il meccanismo della porta girevole.

Sembra solo un leit motiv dell’area progressista del nostro paese, in realtà è una lettura adeguata  del funzionamento dei progetti costruiti con estrema attenzione dagli Uffici Esecuzione Penale Esterna in sinergia con il territorio più accreditato.

La sicurezza nasce dal controllo del territorio attraverso politiche di inclusione e costruzione di percorsi che esercitano una devianza rispetto alla tendenza deviante dei singoli. Non si tratta di un bisticcio di parole, ma di agire una modalità di partecipazione sociale che modifichi i comportamenti in atto e che, soprattutto, abbia efficacia preventiva nei contesti a rischio.

Lo strumento è rappresentato dall’aggregazione come politica di coinvolgimento che valorizzi il concetto di giustizia riparativa in una declinazione più fruibile e sostanziale.

Alle associazioni dl terzo settore è importante chiedere di intervenire sugli aspetti relazionali, sulla consapevolezza del disvalore di condotte devianti e sulla necessità di riparare i danni.

Con particolare riferimento alla dipendenza da sostanze è necessario esperire alcune valutazioni spesso dimenticate. Le associazioni che si occupano di progetti di recupero socio-riabilitativo, utilizzando programmi accreditati caratterizzati dalla presenza di professionalità riconosciute, sono chiamate a riflettere sulla necessità di introdurre all’interno dei loro percorsi momenti di consapevolizzazione sui danni prodotti dallo stile di vita dei soggetti di cui si fanno carico.

E’ ridondante sottolineare come la componente deviante penalmente all’interno delle strutture di recupero sia in crescita, e potrebbe aumentare se le ipotesi di riforma proposte dovessero malauguratamente essere approvate, per cui l’evoluzione dei progetti deve dare spazio a momenti volti all’inclusione non solo sotto il profilo lavorativo, che già rappresenta un obiettivo di non poco conto, ma anche sotto quello della composizione dei conflitti e del rispetto delle regole del vivere sociale.

Non sempre questa riflessione viene elaborata in modo coerente con le aspettative del benessere sociale.

La lotta alla solitudine, determinata dalla incapacità di creare relazioni significative basate sul rispetto dell’altro, deve passare attraverso la consapevolezza che il benessere sociale è frutto dell’osservanza delle regole e che anche quelle ritenute più limitanti possano essere superate solo dall’affermazione di un ruolo sociale costruttivo e non dall’inosservanza come forma di reazione violenta ed autodistruttiva.

Il territorio mediante l’accettazione ed il dialogo fornirà un valore aggiunto quale comunità che desidera la realizzazione di progetti che prevedono la partecipazione attiva delle categorie svantaggiate.

Il momento deputato all’efficacia di tali progetti è proprio quello dell’attuazione della misura alternativa che eviti il passaggio carcerario: in questo modo tali misure assumono un consistente significato che vanifica il pregiudizio sull’inefficacia della pena ormai troppo comunemente diffuso.

Sarà anche il mondo giudiziario a trarne un beneficio perché a medio termine vedrà diminuire l’intervento processuale e si coinvolgerà naturalmente nella rete sociale che realizza il benessere senza abiurare alla propria funzione. Semmai risponderà in modo più adesivo al dettato di cui all’art. 27 della Costituzione..

Occorre pensare in modo serio alla prospettazione di un modello di inclusione che abbia caratteristiche di innovatività rispetto alla promozione di politiche di coesione sociale. Si tratta di offrire a tutti i cittadini la possibilità di esprimere un contributo al benessere sociale ed economico della comunità indipendentemente dalla propria appartenenza culturale, in virtù di una partecipazione attiva e responsabile.

Il terzo settore presenta tutti i requisiti valoriali e professionali per rendere attuabile questo modello

Occorre un focus mirato proprio sulla popolazione dipendente che affolla gli istituti penitenziari rappresentandone una percentuale estremamente consistente. Il focus non può essere solo sull’applicazione delle misure alternative, già ampiamente previste dall’attuale formulazione del testo Unico, ma anche sulla qualità degli interventi al fine di renderli più efficaci.

Tutto questo non può avvenire senza una revisione sensata dell’intero DPR 309/90.

Avv. Marco Cafiero

Specializzato in criminologia clinica

Membro del Consiglio di Presidenza F.I.C.T.