Non eravamo più abituati alla morte per droga. I volti così puliti e normali dei due giovani che da qualche giorno ci guardano dalle pagine dei giornali e dagli schermi della televisione, se l’autopsia confermerà che la causa della loro morte è stata la cocaina, ci costringono a interrogarci e prima di tutto a fare pulizia dai luoghi comuni, come quello della droga tagliata male.

Tante volte, è proprio la droga troppo pura a uccidere; e la droga, o l’alcool usato come droga, stanno dietro a tante altre morti, negli incidenti stradali o sul lavoro. In altre parole, non esiste un uso “sicuro” delle droghe. Certo, oggi le forme di dipendenza sono molto più subdole rispetto a uno scenario dominato un tempo in modo esclusivo dall’eroina: le droghe euforizzanti, prima di tutto la cocaina, danno l’impressione di essere “compatibili” con una vita normale, che il loro uso possa essere controllato e reversibile. Così non è; e la sofferenza e i danni sociali causati dalle droghe sono sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono vedere. Tanto più che il loro ingresso nella “normalità”, nella quotidianità delle famiglie, della scuola, dei luoghi di lavoro, delle professioni, del divertimento, determina l’aumento di un malessere generale, diffuso, quello dei coniugi, dei figli, degli insegnanti, dei compagni di studio e di lavoro. Alla loro diffusione io imputo anche la crescita della violenza e dell’aggressività: tra la cocaina e la competitività esasperata vedo un rapporto reciproco di causa e di effetto.

Tutto questo si sa. Si conoscono anche storie esemplari di tossicodipendenti da ogni sostanza: l’informazione è anche troppo abbondante e insistita. Quello, invece, che non appare mai è la sofferenza del contesto sociale della persona dipendente e in particolare della sua famiglia. Mi chiedo: un genitore, una moglie, non se ne accorge? Certo, la presa d’atto di una realtà così dolorosa è difficile, è vissuta come una sconfitta e prima di accettarla ci vuole molto tempo. Però, da un certo momento in poi, chi sta intorno al consumatore di droghe sa quello che sta succedendo. Tuttavia, ben pochi chiedono aiuto e si danno a un “fai da te” inefficace e logorante.

Nel nostro Centro, nella sede di via Urceo Codro 1/1 a Reggio, ogni mercoledì sera, dalle 20.30 alle 22.30, io tengo personalmente un incontro di informazione per i familiari, gli amici, i colleghi, insomma per tutti coloro che a qualsiasi titolo sono coinvolti con un consumatore di sostanze. Ho molta stima per coloro che vengono a queste riunioni: essi debbono vincere il ritegno e soprattutto affrontare quel senso di colpa che li tiene prigionieri. Vedo però il loro sollievo, di poter condividere con altri il segreto che li logora. E’ in quel momento, quando si accetta di affidarsi ad altre persone, che inizia il cammino di liberazione. Dobbiamo liberare noi stessi dalla dipendenza dal tossicodipendente, prima di poter aiutare lui ad affrancarsi dall’uso di sostanze.

Desidero però fare alcune precisazioni. Anzitutto, a questi incontri non può partecipare chi usa le sostanze: la sua presenza toglierebbe ai familiari la libertà di raccontarsi compiutamente e genererebbe inutili battibecchi. Se un “ragazzo” vuole aiuto, ha due possibilità: o telefonare al 0522-451800 per chiedere l’appuntamento con un operatore, oppure presentarsi direttamente al giovedì sera dalle 20.30 alle 22.30, sempre nella sede di via Urceo Codro, al Gruppo Dipendenti Anonimi.

In secondo luogo, vorrei parlare del senso di colpa. Purtroppo, mentre si accettano spesso giustificazioni inconsistenti per l’uso di sostanze (carenze affettive, delusioni amorose, mancanza di lavoro …), il comune sentire è molto severo verso la famiglia; questo giudizio rinforza la tendenza, inevitabile in un genitore, di chiedersi. “Dove ho sbagliato?”. Ora, un genitore, qualsiasi genitore sa benissimo che se tornasse indietro forse cambierebbe certi suoi comportamenti: ma attribuire a ciò la tossicodipendenza del figlio è ingiusto e inesatto. Oltretutto, non si ha rispetto per la sofferenza di un genitore, che, per dirla tutta, certamente “non se l’è voluta”.

In conclusione, non bisogna vergognarsi di chiedere aiuto e di chiedere aiuto presto, subito, appena ci si accorge dell’uso di sostanze. Certo, la gravità dell’uso non è uguale in tutti e i percorsi di affrancamento saranno diversi. Ma con le droghe non si scherza, e soprattutto non si possono fare compromessi: questo è proprio uno di quei casi nei quali è necessaria la tolleranza zero.

Negli incontri del mercoledì sera mi affiancano genitori che hanno già fatto il percorso di recupero accompagnando i loro figli. Qui, io scopro la potenza e l’efficacia del gruppo. Al di là dei consigli che si possono ottenere, la cosa più preziosa è il sentimento di poter finalmente appartenere, di non essere più soli, di avere di fronte qualcuno che è passato nello stesso doloroso cammino. Ricomporre la solidarietà tra le persone è il primo passo per liberarsi dalla dipendenza.

Don Giuseppe Dossetti, Presidente del CeIS di Reggio Emilia.