Apprendo dalla stampa quotidiana una di quelle notizie che mai si vorrebbero sentire: due giovani vite spezzate (sembra) dall’uso di cocaina ed un terzo salvato in ospedale sempre a seguito dell’uso di cocaina “tagliata male.”

Questi tragici eventi seguono di pochi giorni la morte di un altro giovane per overdose da eroina trovato nel cuore della città all’isolato San Rocco.

Conosco l’angoscia delle famiglie che apprendendo queste tristi notizie e che in un attimo sentono franare il terreno sotto i loro piedi a loro le mie più sentite condoglianze.

A noi rimangono le parole per consolare cuori spezzati e le uniche che mi sento di rivolgere ai famigliari hanno a che fare con il fatto che anche in momenti di prova così estrema possono non essere soli, forse il conforto di altri famigliari che hanno vissuto situazioni così tragiche potrebbe essere una sostegno utile per ritrovare nuove energia di vita.

Ma sui fatti vorrei aggiungere un parere molto personale.

Conosco molti giovani che mi raccontano cosa e come si tende a normalizzare un uso “consapevole” delle sostanze.

Aver paura della morte non è sufficiente per evitare comportamenti a rischio legati all’assunzione di sostanze. Occorre rivolgersi ad altri motivi per poter fare della propria vita un viaggio per cui vale la pena partire e continuare a viaggiare.

In questa particolare situazione tutto è accaduto nel periodo di festeggiamenti e ponti vacanzieri: necessità di divertirsi (forse)  e di occupare il tempo in modo differente (certamente) possono descrivere alcuni frammenti del contesto in cui tutto è avvenuto. Ma non è questo che più mi colpisce di questi episodi.

M’interrogo sui contesti di vita di questi giovani, nessuno ha visto ( penso soprattutto agli amici), nessuno ha avuto dubbi, tutto era normale e ancora perché non ricorrere ai presidi territoriali dei pronto soccorsi per come è successo nel terzo caso? Non è che l’eccesso di normalizzazione contribuisca anche a sottovalutare i segni che possono far ricorrere all’uso delle competenze sanitarie?

Spesso la paura e la vergogna di affrontare temi legati alle dipendenze o al consumo problematico di sostanze (diverse sostanze) sono il vero problema.

Non c’è niente di “normale” in chi, anche se in modo saltuario, ha bisogno di ricorrere ad un uso additivo di droghe legali e illegali per sostenere il proprio vivere.

La cocaina purtroppo ancora non è conosciuta per tutti gli aspetti di drammaticità che porta con se, oggi ne parliamo perché avrebbe portato via 2 vite in modo  prematuro, ma spesso questa sostanza si nasconde dietro eventi come gli incidenti stradali, la violenza familiare, la depressione legata a fallimenti economici alla perdita e  alla stabilità lavorativa. Essa è certamente presente anche in molti episodi di delinquenza comune.

Chi usa sostanze difficilmente riconosce il lento deterioramento della propria vita sociale, relazionale e anche fisica ed è per questo che le relazioni primarie e amicali sono  il luogo delle prime forme di prevenzione.

Oggi è una urgenza sociale parlare di comportamenti dipendenti: si pensi al gioco, all’alcol, alle droghe, occorre parlarne in famiglia nei gruppi dei pari perché il silenzio è più pericoloso delle sostanze stesse.

La profondità dell’animo umano spesso resta oscura a molti ma la nostra esperienza di lavoro quotidiano ci ha insegnato che quando “ una persona può alla fine manifestarsi chiaramente a se stessa non come il gigante dei propri sogni né il nano delle sue paure, ma come un uomo parte di un tutto con il suo contributo da offrire,” questo è il momento in cui non si vive “più soli come nella morte ma vivi a noi stessi e agli altri.”

di Ivan Mario Cipressi