E’ dal 1980 che il “Centro di Solidarietà di Firenze” si dedica alla riabilitazione dei tossicodipendenti e agli interventi di prevenzione del disagio giovanile. In questi 31 anni abbiamo modificato molto la nostra attività , adeguandola ai continui cambiamenti del fenomeno delle dipendenze e alle richieste dei servizi pubblici. L’abbiamo fatto con una certa sofferenza,  perché abbiamo dovuto rinunciare in parte ai traguardi alti dei primi tempi,  quelli della piena riabilitazione di chi si rivolgeva a noi.  Oggi  ci facciamo carico anche di persone che possono essere solo curate ed accompagnate  in un percorso che avrà sempre bisogno di qualche sostegno sociale.

Intervento svolto nel salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio sul tema del volontariato

Il mio contributo a questa iniziativa del Comune di Firenze  si articola in due appelli: uno agli amministratori della città, l’altro a quanti militano nel volontariato.
Per il “Centro di Solidarietà di Firenze volontariato è una opportunità che semplici cittadini hanno di “fare politica” direttamente,  intervenendo a fianco delle istituzioni in maniera operativa,  agile e competente, non in sostituzione o contrapposizione  ma in collaborazione con chi ha il compito istituzionale di affrontare mali sociali complessi e vasti come, nel mio caso,  il disagio giovanile e le tossicodipendenze.  Io credo che questo tutte le nostre associazioni, più o meno bene, l’hanno fatto. Ma partecipazione non significa solo contribuire alla soluzione di specifici problemi sociali; è anche stimolare le pubbliche istituzioni a precise scelte culturali, sociali e politiche, che incidano sulle cause che determinano squilibri e disadattamento, ed affermino il primato della persona umana e il diritto dei più deboli ad essere tutelati. Io sono qui a dirvi che questo compito io ed il mio Centro non lo abbiamo assolto, e credo che pochi possano dire di sé il contrario. Risponderemo che è già molto se facciamo il nostro e se riusciamo a far quadrare i bilanci. Credo che sia tempo che il volontariato, oltre a soccorrere prontamente i tanti abbandonati sul ciglio delle strade, come buon samaritano, incominci ad alzare la testa e a guardarsi attorno, dietro i cespugli e le rocce, per individuare ed eventualmente stanare i tanti banditi di turno. Da assistenziale e riparatorio dovrebbe diventare “politico” nel senso etimologico del termine, sentirsi responsabile della società civile e dare voce ai tanti che non l’hanno. Prestare con cura il proprio servizio e basta  di fatto ci renderebbe complici del disordine sociale, perché ne riparerebbe, sì, qualche danno, ma non lotterebbe con pari impegno per rimuoverne le cause, permettendo così che il violento sopravviva: senza volere ci troveremmo di fatto alleati del “Cai-no” di turno. Una domanda che ci provoca tutti è questa: chi raccoglierà l’attesa di questa gente senza peso e senza voce? Può il volontariato farsi portatore dell’esigenza di uno sviluppo globa-le della democrazia così che non escluda le fasce più deboli?
Agli amministratori della città segnalo un problema strisciante. Il Progetto Giovani, che il mio Centro conduce da tre anni nel Quartiere Uno, ci ha fatto incontrare adolescenti in condizioni di probabile grave devianza, se abbandonati a se stessi. Ma l’intervento di prevenzione che abbia-mo realizzato ci ha detto anche che è possibile fare qualcosa,  da subito; occorre, però, che cittadinanza e amministrazione della città se ne convincano e si muovano, subito. Si sa cosa fare, ma occorre volerlo in concreto e politicamente. In città europee più grandi della nostra il fenome-no è già esploso, aspettare che succeda anche in casa nostra sarebbe doversi preparare all’irreparabile. So cosa significa questo per un’amministrazione comunale che ha i problemi economici che tutti sappiamo. Ma si tratta dei giovani, i vostri figli, che sono il futuro di tutti noi, ben più importanti dei capolavori d’arte che rendono famosa la nostra città. Dal Comune di Firenze mi aspetto una risposta a questa domanda, non stasera e a parole, ma nel futuro prossimo e con scelte precise e credibili. Non vorrei che nel 2020 qualcuno, al posto che occupo io, che probabilmente non ci sarò, vi ricordasse che eravate stati avvertiti.

di Giacomo Stinghi – Presidente del CEIS di Firenze