Vale la pena battersi per la libertà delle persone che ospitiamo in “Progetto Uomo”?
Me lo domando quando mi alzo al mattino alle 5.45 e lo rivedo alle 23 poco prima d’addormentarmi, quando affido a Dio tutte le persone incontrate. A scanso di equivoci su chi propone dona e accompagna la libertà, sempre sacra nel cuore del Padre per i figli.
È questo un mio rito, il mio bisogno spirituale del tutto personale, di fronte al mistero che incontro e affronto ogni giorno. Le persone che incrocio rischiano, come me, la libertà e la vita. Ma ne vale la pena, considerate le ricadute e le cronicità, che non mostrano vie d’uscita?
Questo mistero per me e per noi operatori, fallibili e imperfetti, mai domi, prende volto in circa dieci problemi e urgenze che ci portano i residenti. Si mettono nelle nostre mani con una specie di ruota dentata, i cui denti, più o meno aguzzi e mordaci, devono essere presi e gestiti tutti insieme. Essi sono:
problemi individuali personalissimi
situazioni e relazioni familiari
disturbi di salute, fisici e psichici
obblighi d’ordine pubblico e carichi penali da scontare
esigenze scolastiche e formative
problematiche di lavoro
questioni e urgenze amministrative ed economiche
bisogni logistici e abitativi
status sociale e collocazione sociale
progetti di vita e futuro.
Il programma “Progetto Uomo” è in grado di avere una visione precisa di tutto questo e ha la forza di affrontare le problematiche dei residenti. Tre sono i principi vincenti:
l’ospite residente protagonista in tutto, in prima persona
la solidarietà e il coinvolgimento di tutti, ciò per battere insieme la solitudine
la comunicazione aperta, empatica e libera, altrimenti non c’è relazione.
Le probabilità di successo, in rapporto agli obiettivi stabiliti nel percorso (perfino con i cosiddetti ‘cronici’, parola che rifiuto) sono sempre alte. A patto però che i tre principi operativi e dinamici vengano vissuti e proposti contemporaneamente. Il senso/successo sta nel percorso, non nel risultato che – eventualmente raggiunto – pone di nuovo e sempre in processo e in cammino.
In questo preciso momento, la mia attenzione è volta alla comunicazione e al miglioramento di tutti i suoi strumenti. Sta in questo stesso testo. Di riflessione. E di proposta.
La proposta è di “ragione emozionata”, risultante cioè da esperienze maturate nella mente, nella volontà, nella carne, spesso straziata da ferite profonde. Per il superamento della crisi attuale, l’orizzonte è quello di aprire una stagione di relazioni nuove, di formazione, di percorsi e contatti, di fatti/misfatti. Un orizzonte aperto, per l’appunto, dopo le ferie, nel periodo attivo che si presenta a ogni autunno.
Ecco quindi un’informazione ‘sui generis’ di un vecchio giornalista e vecchio formatore. Mi domando: ha ancora un senso chiamarmi così?
Gigetto De Bortoli, direttore resp.le Settimanale Progetto Uomo