Evento. Sabato 4 dicembre ore 10.
La prof. Lucia bussa alla porta del mio ufficio.
Alta, ben truccata, elegante e smagliante, cappellino giallo e sciarpa gialla che le avvolge il collo,  mi guarda decisa dritto negli occhi. Si vede ch’è abituata a tener testa ai ragazzi di oggi, che si sa come sono, a scuola!
Mi dichiara una cosa rivoluzionaria, per i tempi che corrono.

“Dopo 40 anni di insegnamento, iniziato giovanissima,  lascio per far posto ai precari. Chiedo perciò di svolgere volontariato presso di te, per quello che so e posso fare. Desidero continuare a essere attiva e viva”.
  –  Sii benvenuta, Lucia. La abbraccio, con accoglienza e stima. Soggiunge.
  “Mi spinge a fare il volontariato il disagio che vedo crescere tra i ragazzi, so che una fetta di essi arriva poi qui, nel tuo Centro”.
  –  Lucia, cosa intendi dire?
  “Dico che all’inizio, 30 fa e pure prima, in classi di 25 allievi circa, c’erano 2 o 3 ragazzi che presentavano disagio; oggi su 25 allievi soltanto 3 o 4 non presentano disagio e vivono sereni. Si è rovesciato tutto. È una disperazione”.
  –  Secondo te, Lucia, da cosa dipende?
  “Dal disagio vissuto in famiglia, che si mostra in tutta la sua evidenza e gravità a scuola. La scuola, almeno per quella parte di insegnanti che si rende consapevole e responsabile, fa esplodere quello che era tenuto dentro o coperto in casa, rompendo i cuori”.
  Così, al di fuori di statistiche Istat o della ricerca di istituti specializzati, l’esperienza e la pelle di una prof dice, senza alcun giro di parole, come sta la realtà.
  Modalità scientifiche di ricerca, zero. Quoziente di verità, mille. 
Vissuto quotidiano, evoluzione dei tempi, crisi della coppia e della famiglia, malesseri che esplodono a scuola…  Tutto posto là su due piedi, da una persona eccellente e professionale, che decide di passare al volontariato, perché non riesce a star senza far nulla di fronte al disagio dei ragazzi che sale come una  marea. Da una parte o dall’altra, sempre al posto di lavoro, senza alcuna questione di soldi.
L’evento è proprio questo.
L’educatore guarda in faccia la realtà, cede all’evidenza, non si fa domande sui perché e per come, tira su le maniche e ci dà sotto, dentro e fuori contratto di lavoro.
Questa è l’Italia che guarda in faccia la realtà. Questa è l’Italia che cammina, con o senza Silvio.
Ma nessuno la racconta, quest’Italia, perché merita più attenzione chi strozza la cugina, rispetto a chi cede il posto al precario e continua il suo lavoro senza denaro in cambio. E ritorna ad agguantare chi ha fatto plao, per quel maledetto e infinito malessere personale, quindi non ha costruito il diploma, e magari vuole anni dopo riprendere il filo del discorso interrotto, tornando sui banchi  di scuola.
Con gente così l’Istat non serve.

Gigetto De Bortoli