Le favole esistono e le favole insegnano a crescere.

Parlare della solitudine dell’educatore, non è altro che raccontare la storia di un cuore ….

E dalla storia del cuore si impara; un cuore in cammino, aperto all’altro, non può che essere un cuore capace di amare e di stupirsi, stupirsi così come accadrebbe nella visione della favola preferita, quella che il bambino chiederebbe gli venisse raccontata ogni sera prima di andare a nanna.

L’atteggiamento dello stupore sì, quello promuove.

Lo spirito del bambino è uno spirito pronto a credere, ad accogliere ciò che, razionalmente per l’adulto, sarebbe rifiuto, distanza, disincanto …

E solo in quest’ottica può e deve incarnarsi lo spirito di ogni educatore, ottica nella quale empatia ed accoglienza divengono il pane quotidiano, l’essenza della condivisione.

Quel cammino è una “presa per mano” in un divenire che, nella piena conoscenza di se stessi, consente e quotidianamente consente, di mettere da parte le proprie certezze e, “alla vista dell’altro”, consentire a lui di passare dinanzi …. Un passare dinanzi che richiede troppe volte di rimanerne distanti e lontani, nella sensazione di poter perdere,  in uno stato di personale impotenza e di solitudine.

Nell’accompagnamento condiviso delle storie,  l’educatore sa che il momento dell’incontro è uno solo …..lo sente, lo riconosce, coglie il  bisogno  dell’altro per poi  rimandarlo  alle sue scelte … Quella deve essere l’attenzione dell’educatore, lo stare nella rispettosa attesa dell’incontro, momento  in cui  la relazione educativa diviene alleanza, coraggio di stare accanto, assenza di giudizio e meraviglioso stupore nell’ascolto …..con la prontezza di farsi da parte quando quell’essere, cresciuto, sarà pronto a camminare da solo.

Ed intanto la sua carne diviene la tua carne, le sue ferite divengono le tue ferite, le sue lacrime sei pronto ad accoglierle ed asciugarle …. ed intanto, dentro di te, sai che quell’incontro ha definito  la tua vita diversamente da  ciò  che eri ieri.

Il cammino dell’educatore, non può non passare dalla disponibilità personale di mettersi in gioco essendo pronto  anche a “perdere”. Sì, a perdere …. Perché la sua vita non deve divenire la tua, in un concetto di possesso e confusione, di ruoli e di identità. Sei solo, lì, utile strumento per un momento di riflessione altrui, in una attesa che non può confondersi con l’aspettativa o la pretesa.

E, se lucidamente, hai consentito che l’altro passi dinanzi a te, divenendo “occhio” per lui, non puoi fare altro che offrire il tuo “sguardo” per la sua unica e sola riflessione … affinché  sia lui, nel suo domani, a  poter “vedere”con i suoi occhi.

Nell’incontro, inevitabile avviene il coinvolgimento che, se pulito, lo riconosci e gli dai forma.

E stai in un quotidiano che, vissuto insieme, diviene  forza e ricchezza. Riconosci una capacità, non tua, di guardare al suo domani, frutto di un cuore aperto che riesce a leggere attraverso gli eventi della storia  …. Comprendi cosa dovrebbe divenire prioritario per la persona, nella consapevolezza che è la  sua stessa storia  ad insegnare ….

Nella sua storia cogli i suoi stessi punti di forza. Ma la tua attenzione, non può divenire presunzione; attendi che le scelte compiute divengano le sue e sei pronto che l’altro spicchi il volo, verso una vita che non è tua, riconoscendone la tua solitudine per quel “lui” che, passato attraverso di te, forse non percorrerà le strade che avevi immaginato.

Quando ciò accadrà sai già che ti sentirai solo e, forse,  tradito, usato e non riconosciuto.

Ma è la tua scelta, saper guardare alla vita come opportunità di crescita condivisa, fino ad investire così tanto da sentirti vuoto, perché la vittoria anche di una sola persona, vale più della tua stessa conquista, la sua vita non è la tua e della sua te ne rimangono i ricordi, come un susseguirsi di fotografie il cui scatto avveniva sotto i raggi di un sole,  anche se  a volte non c’era.  Perché anche quando il sole sembra non esserci, tu non puoi non scattare quella foto.

di Sac. Mimmo Battaglia – Presidente FICT