Si muore generalmente perché si è soli, o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno’. Sono rimasto sempre colpito da queste parole di Giovanni Falcone e mi rendo conto, ogni giorno, di quanto possano essere vere.

Nonostante questo monito, altri, successivamente, sono rimasti soli nell’impegno quotidiano contro le mafie, ed hanno pagato un prezzo molto alto, con la vita, il loro impegno, la loro coerenza, i loro valori, la propria missione: Borsellino, le donne e gli uomini delle scorte, Libero Grassi, il giudice Scopelliti, don Pino Puglisi, don Peppino Diana e tanti altri, che, pur non essendo stati privati del bene più grande (la vita), tuttavia sono costretti ad una limitazione estrema della propria libertà di movimento, perché già ”condannati’ dai poteri occulti e delle mafie. Paradossalmente, sono anni che, insieme ai miei operatori, sperimentiamo, sulla nostra stessa pelle, questa forte sensazione di solitudine. Ogni giorno, stando al fianco dei ragazzi tossicodipendenti, è come se affrontassimo una battaglia, non solo contro le loro paure, le loro insicurezze verso il futuro, la loro mancanza di fiducia nel prossimo, ma anche contro un nemico molto più subdolo e potente, che contrappone ai nostri ed ai loro sogni, ben ancorati però al lavoro ed al sacrificio di ogni giorno, dei sogni molto più effimeri, delle speranze costruite in laboratorio, delle compresse che non fanno avvertire alcuna fatica ed alcun dolore. Riuscire ad aiutare i ragazzi a liberarsi dalle sostanze è parte del nostro lavoro; riuscire a fare in modo che gli stessi ragazzi escano dai circuiti della criminalità è impresa molto più ardua che ci ha esposto e ci espone a rischi e a minacce. Contrapporre al benessere economico, al raggiungimento di un certo tipo di ”immagine sociale’, una vita di sacrifici, di fatica, di coerenza con la propria coscienza, senza compromessi, senza dare in appalto a nessuno la propria storia, è ciò che caratterizza il nostro impegno e dà valore alla nostra solitudine. Sono proprio momenti come questi, però, che ci permettono di non sentirci del tutto soli. Un giorno mi trovavo in Comunità con i miei ragazzi. Si stava in cerchio ed ognuno raccontava agli altri la propria angoscia, la propria sofferenza, la propria fatica.
Un ragazzo, giunto il suo turno, si alzò, e senza dire nulla, prese un piatto di coccio e lo lasciò cadere per terra. Il piatto ovviamente si fece in mille pezzi.
Alla mia domanda circa il significato del gesto, egli mi rispose che lui vedeva così la sua vita, distrutta in mille cocci. Quante volte noi abbiamo letto così la nostra terra. Terra di contraddizioni, ma soprattutto di divisioni, anche tra chi dovrebbe collaborare verso obiettivi comuni di cambiamento. Ma torniamo per un attimo a quel ragazzo. Dopo la spiegazione del gesto si chinò, raccolse un pezzo di coccio, lo strinse nella mano e, dopo poco, cominciò a piangere, visibilmente commosso. Anche stavolta chiesi spiegazioni. Mi rispose che gli stava succedendo una cosa strana, quel coccio prima così freddo ed estraneo, con il calore della mano si stava a poco a poco riscaldando. E’ bello, mi disse, sentirsi parte di qualcosa di più grande, qualcosa che riesca a raccogliere i cocci della nostra vita e renda ciascuno di essi degno di essere vissuto. Si riferiva alla Comunità, agli altri ragazzi, al sostegno reciproco che si davano nel cammino di cambiamento che avevano intrapreso.
Non vi nascondo che quella volta ho ricevuto una grande lezione di vita.
Come è possibile pensare di sconfiggere i poteri forti, la ‘ndrangheta, le massonerie deviate, senza stringere tutti i nostri cocci nella fragilità delle nostre mani e nella forza delle mani unite? Vogliamo perciò dire basta alle chiacchiere, agli slogan, agli accordi sotto banco, alla ricerca smodata e sregolata del consenso senza scrupoli o limiti di sorta.
In questo senso, tutti noi, e per noi intendo quanti, pur con mille limiti e difetti, provano a spendersi per un futuro migliore partendo dagli ultimi, siamo chiamati ad un segnale forte di unione e condivisione, al di là delle diversità e degli interessi di cortile.
Ed in questo, credo che dobbiamo pretendere una scelta di campo anche da chi ci governa, senza se e senza ma. Chi, sino a ieri, si è detto al nostro fianco per le battaglie sulla legalità, oggi non può limitarsi ad enunciazioni di principio ed a pacche sulle spalle.
Qualcuno, qualche giorno fa, mi disse che è sempre meglio essere indicati come belli che come bravi. I belli infatti sono invidiati ed emulati, i bravi, proprio perché tali, in genere vengono lasciati soli, con una pacca sulla spalla, ma soli.
Le Associazioni di Volontariato oggi preferiscono essere belle, meno pacche sulle spalle e più compagne di viaggio, pronte a spendersi ed a spendere per portare avanti battaglie concrete, non ipotesi di lavoro, tavoli di concertazione, dibattiti e confronti sterili. Ci sono argomenti sui quali non c’è più tempo di promesse.
La lotta alle mafie deve essere una priorità per tutti ed in particolare per la politica, che deve staccarsi definitivamente dal metodo della contrapposizione ad ogni costo, per passare a quello più consono e dignitoso della programmazione, ribadendo innanzi tutto il legame inscindibile che deve intercorrere tra etica e politica. Ma per lottare non bastano le parole, occorre fare delle scelte, a volte anche impopolari, bisogna avere il coraggio di metterci la faccia e di rimetterci voti.
Il mondo politico ha il compito di programmare e definire le risorse, spostandole in ragione delle esigenze e delle priorità.
In questo senso apprezzerò il politico che, in tutta onestà, ammetterà che il bilancio, di stato, regionale, provinciale e comunale, non è uno strumento tecnico, meramente numerico, ma uno strumento politico e come tale orientabile. Se davvero si vuole costruire l’antimafia occorre destinarvi risorse, restando aperti al confronto sul come spenderle con tutte le altre forze politiche e sociali, con attenzione, parsimonia e soprattutto trasparenza. Su questo terreno si gioca una scommessa troppo importante non solo nella lotta alle mafie ed alla criminalità organizzata, ma per lo stesso sviluppo della nostra terra, una scommessa che non può dipendere da distinzioni o divisioni di colore politico o sociale.
Ma prima di tutto credo che dobbiamo credere, o tornare a credere, nel cambiamento. Ci hanno quasi convinto che ormai non è possibile tornare indietro, non è più possibile cambiare. Ci hanno assicurato che questo è il sistema e se provi ad opporti resti stritolato. Ci hanno ridotto al silenzio, subdolamente, senza violenza, semplicemente facendoci intendere che il male è talmente grande da essere invincibile, uccidendo lentamente la speranza. Non è difficile rendersi conto che è in atto una precisa strategia. La ‘ndrangheta non è più quella del pizzo e dell’onore, degli omicidi e delle minacce, mira molto più in alto, mira a pervadere di sé l’intero territorio, a partire dalle istituzioni, impossessandosi del potere sociale ed economico, insediandosi nello stesso tessuto connettivo della società.
Tale strategia, già in atto, necessita di consenso. Non è un paradosso, è la triste, drammatica, realtà. La mafia oggi ha bisogno di rifarsi la facciata, di una plastica buonista, di un restyling generale, ha bisogno di mostrarsi simpatica, accondiscendente, amica.
Ma ciò che è peggio, questa politica della divisione e dell’asservimento psicologico, sta colpendo in particolare i giovani, la speranza di questa terra.
Quanta fatica fanno oggi i ragazzi che tentano spontaneamente di mettersi insieme per rappresentare un germoglio di novità e speranza per questa terra. Quanti attacchi debbono contrastare. Per questi ragazzi e per noi tutti, per questa terra, per il nostro paese ed in generale per ogni angolo del mondo dove prolifera l’ingiustizia, è necessario tornare a credere con forza nel cambiamento, consapevoli che la speranza è parte integrante ed irrinunciabile del nostro bagaglio.
L’antimafia si costruisce prima nei cuori e poi nei cervelli. Non si può non essere preoccupati, se guardiamo alle fatiche della politica nell’interpretare la società, nel fornire risposte, nel rendersi credibile e autorevole. Ma la preoccupazione non può zittire la nostra voce o fermare il nostro cammino faticoso, pieno di rischi e di delusioni, ma anche capace di darci senso e coraggio. Il nostro sogno, dunque, si fa segno. Le parole, fecondate dalla coerenza, diventano vita, reciprocità, costruzione di futuro. Condivisione, impegno e promessa. Per questo non vogliamo fermarci né tantomeno arrenderci. Per questo crediamo che cambiare è possibile!
C’è bisogno, più che mai, di una speranza. Di una speranza che significa diritti ed opportunità. Parlo della dimensione della speranza che parte dai dati concreti, dalla dimensione della giustizia, dall’affermazione dei diritti. Questo aspetto della speranza è l’ossigeno indispensabile per non farsi piegare dalla fatica, per non arrendersi alle difficoltà. Costruire speranza ha una valenza politica, ha una relazione con il territorio in cui ognuno vive. La legalità e la solidarietà sono solo strumenti, il valore è la giustizia sociale. E ci si arriva con coerenza, senza barare, senza dare in appalto a nessuno la propria coscienza, con dignità, sapendo che non c’è conquista senza fatica e non c’è senso alla vita senza conquiste. Le mani pulite, se sono in tasca, non servono a niente

di Don Mimmo Battaglia – Presidente FICT