Mi pare surreale la polemica che sta sorgendo sull’utilizzo di migranti da parte di un’impresa di sicurezza, che, oltre tutto, li pagava poco e in nero. Sembra quasi che i colpevoli siano questi richiedenti asilo e, in subordine, coloro che ne curano il percorso di accoglienza. Giustamente, Codeluppi ha detto che non sono dei prigionieri e gli operatori non sono dei secondini.

Don Giuseppe Dossetti: “Per piacere, non spariamo sulla Croce Rossa”

Ci si dovrebbe invece indignare anzitutto perché c’è chi sfrutta questi poveracci: in gran parte questi sfruttatori sono italiani. Va detto però che l’illegalità è favorita da un sistema che non funziona, che si è costituito negli anni per aggiunte estemporanee, senza una visione complessiva e un’effettiva capacità di darsi obiettivi efficaci.

La madre di tutti i problemi è, che in Europa, e in Italia in specie, non si può entrare – per il lavoro –  in modo regolare. Dall’Africa, in particolare, non ci sono canali trasparenti gestiti dai paesi europei. Dopo il periodo delle sanatorie e dei decreti flussi, basati del resto su delle ipocrisie, da qualche anno adesso non c’è più nemmeno questa possibilità. Se vuoi cercare un futuro in Europa, devi prendere il barcone.

La situazione nella quale ci troviamo non ha però soltanto una madre. La sua parentela è molto vasta. Consideriamo ora quella che può essere considerata la zia. Si tratta della durata abnorme dell’attesa di una decisione sulla richiesta d’asilo. Almeno due anni. Qualcuno dovrebbe spiegarmi perché, dopo aver assunto un anno fa 250 funzionari per le commissioni, i tempi di attesa non si stanno riducendo. Non solo, ma i dinieghi del permesso, che erano già al 60 per cento, ora marciano speditamente verso l’80 per cento se non di più. Noi stiamo mantenendo un sistema costoso e inefficiente, che produce irregolarità e quindi illegalità. Ha senso prendersela con dei poveracci, che, dopo essersi fatti il deserto, la Libia e il mare, ora dovrebbero tornare a casa loro? Con che mezzi? Ricacciati nell’irregolarità, saranno preda degli squali, perlopiù italiani, che, nella migliore delle ipotesi, offriranno loro un lavoro in nero. Sono loro i colpevoli?

Esiste un’alternativa? Non è certamente facile immaginarla, perché il problema è stato lasciato incancrenire. Ma il punto centrale è costruire percorsi di legalità. A me sembra assurdo che si discetti se a casa loro ci siano effettivamente situazioni di guerra e di pericolo. Loro sono in pericolo, adesso e qui, se vengono ricacciati nell’illegalità, in vie senza uscita.

Il decreto Salvini aumenta la nostra insicurezza. Rendendo più difficile l’accesso al sistema sanitario e praticamente impossibile l’ottenimento di un lavoro, dal momento che si rifiuta l’iscrizione anagrafica in Comune, impedendo l’accesso al sistema SPRAR, l’intenzione sembra quella di rendere a queste persone la vita talmente difficile, da indurli a tornare a casa. Illusione. Essi diventeranno fantasmi, che usciranno dalle forme di controllo che, bene o male, hanno funzionato finora; i casi come quelli delle fase agenzie di security si moltiplicheranno.

Possiamo fare qualcosa di meglio. Dovremmo accelerare al massimo le pratiche sull’asilo: dopo aver verificato se tra di loro ci sono dei delinquenti, io darei il permesso con larghezza. In più, li aiuterei a ricuperare il passaporto, che spesso è stato perso o sequestrato dai delinquenti che organizzano i viaggi. Con le regole in vigore, col permesso italiano e con il passaporto, gli stranieri possono viaggiare in tutta Europa. Quindi, la ridistribuzione si farebbe da sé, perché molti di loro non intendono rimanere in Italia, ma vogliono raggiungere parenti che vivono altrove.

Come giustamente è stato fatto osservare, uno dei limiti dell’attuale situazione è, che la gestione del problema migratorio è affidata al rapporto diretto tra gli organi centrali dello Stato (le prefetture) e le associazioni che accolgono i migranti. L’Ente locale è tagliato fuori, soprattutto se ora viene eliminato lo SPRAR. Anche a questo si dovrebbe pensare. Non solo il Comune dovrebbe dare la residenza, ma dovrebbe farsi parte diligente per il recupero del passaporto.

Ci sarebbero tante altre cose da dire. Però, per piacere, non spariamo sulla Croce Rossa.

Don Giuseppe Dossetti, Presidente CEIS di Reggio Emilia