Ci solleva il morale leggere che la nuova ministra della Giustizia affermi che la detenzione rappresenta l’ultima soluzione. Da tempo invochiamo un’attenta riflessione, priva di intenti meramente demagogici. Ultimamente eravamo preda di populismi giudiziari che rispondevano ai bisogni emotivi della pena.
Non sono solo le parole a rassicurarci ma anche gli agiti che vanno nella direzione sperata, basti pensare all’incontro con il Garante nazionale dei diritti dei detenuti per farci comprendere che un cambiamento potrebbe avvenire.
Uso ancora io condizionale, non per sfiducia nei confronti della ministra, ma per la miriade di opinioni differenti che fanno parte di questo nuovo Governo
L’idea di superare il “carcere” non è solo frutto di una politica “buonista” e “assistenzialista” ma di una lettura illuminata delle opportunità che la società può offrire senza determinare la desocializzazione dell’individuo reo.
Senza alcun camuffamento linguistico, o intenti meramente deflattivi, la ministra offre uno spazio di valorizzazione alla giustizia riparativa che considera pronta a fare un ingresso ufficiale. La Dr. Cartabia è convinta che le condotte riparative rappresentino reali interventi di deflazione sostanziale per cui incoraggia istituti come la messa alla prova che effettivamente, come abbiamo già avuto modo di ribadire su queste pagine, rappresenta un valore aggiunto per la nostra giustizia.
La messa alla prova non per tutti è giustizia riparativa, per alcuni è solo un modo di evitare il processo, per altri rappresenta una vera e propria opportunità risocializzante. L’equivoco sta nel fatto che nella messa alla prova viene evidenziato solo il lavoro di pubblica utilità, vissuto dal fruitore come retribuzione per il reato commesso, e si perde di vista quel contorno essenziale che si fonda sulla consapevolezza e sul bisogno di “rimettere le cose a posto”
Dunque, la vera sfida che superi pregiudizi sulla messa alla prova riposa sull’introduzione della giustizia riparativa nella fase processuale rafforzando l’esistente ma dando anche spazio alla fantasia ristorativa che il paradigma riparativo incoraggia.
I vantaggi aumentano per entrambe le parti perché un comportamento attivo introduce il benessere collettivo a dispetto di una sentenza meramente subita che appaga anche le aspettative della parte lesa. Se veramente la messa alla prova acquisisse quel valore ristorativo che si propone potrebbe vedere ampliati i confini di operatività
La Giustizia riparativa, così come la mediazione che ne rappresenta un elemento fondamentale dovrebbe entrare nei programmi del Ministero della Pubblica Istruzione per diffondere questo tipo di cultura tra le nuove generazioni. Un progetto che dovrebbe fare della comunicazione il vessillo principale per la gestione dei conflitti che si creano, inevitabilmente, nel periodo adolescenziale e che sfociano di famigerate forme di bullismo.
Va insegnata ai giovani l’accettazione della diversità, anche solo di opinione, e la tolleranza. Bisogna far comprendere che la mediazione aiuta a raggiungere il benessere e a superare i problemi adolescenziali.
I giovani diventeranno persone in grado di prevenire forme di conflitto nell’età adulta e a trasmetter e ai propri figli una cultura che a poco a poco è andata sedimentandosi.
E’ apprezzabile l’intento della nuova ministra di far cessare i processi mediatici, anche questa situazione acuisce i conflitti ed incoraggia al protagonismo attraverso azioni delittuose.
Insegneremo così che la soluzione giudiziale dei conflitti non sia esclusiva e si possano percorrere strade alternative ed integrate valorizzando la funzione sociale del mediatore
La Federazione Italiana delle Comunità Terapeutiche da qualche anno si interroga sull’apertura di questo scenario della giustizia penale riflettendo sull’opportunità di creare strumenti di coinvolgimento della cittadinanza, proprio in virtù del radicamento sui territori. Da sempre è chiamata ad una forma significativa di prevenzione del crimine attraverso la cura e la risocializzazione del soggetto affetto da dipendenza.
Ciò può avvenire anche attraverso un modello che persegue il rispetto della norma, non solo attraverso l’accoglienza di persone gravate da condanne ai fini dell’espiazione in misura alternativa, bensì attraverso processi di adesione alle norme caratterizzati da comportamenti cooperativi e di condivisione, confronto, dialogo.
La rispondenza fiduciaria richiede la trasparenza comunicativa, fattore mai sottovalutato dalla filosofia di Progetto Uomo che incoraggia le persone a diventarne artefici del proprio funzionamento relazionale in quanto portatici di risorse e capaci di governare i propri livelli di benessere in interazione con il proprio ambiente di vita
La porta per perseguire il benessere è quello stato di soddisfazione personale a cui le persone tendono attraverso variabili cognitive, comportamentali, sociali personali ed emotive.
In questo modo risponde alla richiesta sociale di sicurezza intesa come obiettivo prioritario di benessere e qualità della vita.
Avv. Marco Cafiero, consulente F.I.C.T.