«I vincitori abbandonarono le rovine e si ritirarono (…) Pensavano di aver distrutto i loro nemici fino all’ultimo. Ma un uomo giovanissimo, quasi un ragazzo, era sfuggito ai loro deliri di sangue e si rintanava in una grotta a qualche ora dal villaggio. (…) Molti anni più tardi, avrebbe fatto entrare la sua leggenda nelle folli litanie della grandezza degli uomini e del loro orrore, sterminando a sua volta, con violenza e genialità inaudite, quelli che, alcuni anni prima e quasi sotto i suoi occhi, avevano massacrato i suoi» [1].
La storia si nutre delle trame del tempo.
Ciò che accade nel corso della storia colora i tempi del vivere e del morire.
Gli umani, incauti e inconsapevoli, non riescono a rimanere a lungo custodi di quella pace che dovrebbe rendere piacevole il vivere oltre i disagi che, già di per sé, la natura e il destino loro riservano.
Caino continua a errare sulla terra, rappresentando in innumerevoli repliche, la brama di primogenitura assoluta che comporta potere, conflitto e sovente delitto. E il delitto chiama sangue, che chiama a sua volta a coorte le Erinni per vendicare sangue tribale, fraterno.
Il fronte ucraino-russo ne costituisce, oggi, laboratorio esemplare; soprattutto se si trasforma la difesa in offesa, la pace si vestirà di sogno e, qualora arrivasse, i sopravvissuti, vinti e vincitori, incuberanno nelle generazioni cresciute nella guerra gli incubi vissuti e perpetrati, consolidando la strada di sangue.
Faide familiari e tribali ne costituiscono paradigma da sempre
Dall’omicidio di Abele, percorrere la storia significa calpestare una strada insanguinata, che neanche il diluvio universale è riuscito a cancellare perché ha sporcato i piedi degli uomini, soprattutto dei più piccoli rimasti soli sulla strada.
Soli accanto al cadavere della madre o del padre, soli di fronte ad un uomo armato o a un mezzo blindato e sporchi di sangue e desolazione, chiedono silenziosamente un perché. Ma non basteranno le spiegazioni anzi la consueta caccia al colpevole e la distribuzione delle responsabilità, senza una doverosa rielaborazione del dramma dai suoi esordi, sortirà in un circolo vizioso e ossessivo, lasciando tracce di sangue nella memoria di quegli innocenti, predestinandoli a divenire carnefici nel tentativo assurdo di mondarsi dal sangue con altro sangue.
In questo momento i discendenti dell’Olocausto, in nome di Abele ucciso, che credono li giustifichi, replicano un olocausto. I lager chiamano Gaza e le Erinni alimentano lo sterminio di due popoli, di due religioni, di due civiltà… percorrendo con prepotenza la strada insanguinata inaugurata secoli fa.
Senza sguardo sul futuro, senza ritegno per il presente, caparbiamente fissati nel passato, i grandi condottieri di questi due popoli li stanno condannando definitivamente all’estinzione, annientandosi reciprocamente, secondo un’eutanasia della pace metodicamente perseguita.
Esisterà sempre un bambino o un genitore arabo che vedrà nell’ebreo il carnefice dei genitori o del figlio; lo stesso capiterà per un bambino o un genitore ebreo, se qualcuno non si ferma e si veste di vera giustizia smettendo i panni, comodi e sbrigativi seppur cruenti, della vendetta.
È ingenuo o tendenzioso credere e far credere che la vittoria di una delle parti invischiate in un conflitto porti la pace e l’armonia, perché la pace deve albergare negli animi e nella volontà di ricominciare, reimpostando i rapporti e le relazioni, non nei giochi di forza.
Differentemente ci si troverà a vivere una “pax armata”, come durante il dominio dell’imperatore Augusto, o delle tregue intorno a focolai spenti ma con le ceneri sempre calde.
Prima della parola pace, tanto abusata nelle più curiose interpretazioni, soprattutto dai duellanti, va pronunciato l’Amen definitivo, di chiusura stabile della conflittualità, che sancisce la volontà del non ritorno e mostra ai sopravvissuti, soprattutto ai più piccoli, che nessuna causa o giustificazione è valida per uccidere Abele, rivelando senza remore che Caino e Abele convivono in noi.

«E dissimulato sotto la storia, nascosto dietro agli uomini, Dio vedeva tutte queste cose: tanta sofferenza inutile e quei fiotti di sangue che stavano scorrendo». [2]

Nicolò A. Pisanu

[1] Jean D’Ormesson, “Dio vita e opere. Il romanzo della creazione del mondo”, Rizzoli, Milano, 1982, pg. 26.
[2] Ibidem