M’imbatto sempre nello stesso equivoco: identificare la religione cristiana con l’Evangelo, cioè il cristianesimo con la fede. Il che porta a identificare religione ed Evangelo.
Il protagonista di questo è la stessa persona di Gesù di Nazareth, identificato come il Cristo. Ma negli evangeli che lo riguardano, non c’è alcuna parola e alcun cenno che egli stesse fondando una religione. Anzi ci ha rimesso la vita, per questo, prendendo posizione avverso le derive della religione del Tempio, che pur frequentava.
Gesù si presentò come laico qualunque non sacerdote, carpentiere non rabbì, nessuna pretesa politica (pur di ceppo regale), pellegrinante non stanziale, fuori squadra dai gruppi dei farisei, dei rabbini, dei sadducei, dei filoromani ed ellenisti, ammette come discepole le donne (inaudito!)… e fa la fine di uno schiavo, di un ribelle politico e di un rapinatore (motivi di condanna alla croce).
Una gran brutta/bella storia. Perché, al terzo giorno dalla morte, fu visto in giro vivo.
E qui entra il ballo la fede.
Mi sento di fare un’applicazione analogica strana. Imprevista.

Come la fede in Gesù di Nazareth sta al Vangelo, così il metodo/servizio di Progetto Uomo sta alla Filosofia.
Quella che in comincia: “Siamo qui…”.
Quell’“esserci” come residenti e come operatori è basilare.
L’affermazione dell’esistenza là, in quel luogo e in quel percorso, è l’occasione massima per incontrare la libertà. Momento di fede nella libertà, possibile e vera.
La vita non libera non è vita.
Ma quanto blocca di più la libertà e la vita? Il “pre-giudizio”. Il pre-giudizio sotto qualsiasi forma esso si presenti.
Esattamente come pensare che l’Evangelo è una religione.
Come pensare che il percorso di fede/fiducia in Progetto Uomo è un modo di pensare e non un programma di vita libera.

Il “prae-iudicium” è puro pensiero. Per di più giudicante.
Se poi diventa teoria, prende il nome di ideologia.
Purtroppo germoglia dovunque, dentro casa come sul lavoro, nell’intimità affettiva come nel comizio pubblico, nelle trattative contrattuali come in un’area d’aspetto in stazione.
È il primo fattore di rischio nelle relazioni.
Lo puoi verificare se passi dalla teoria, dal puro pensiero alla pratica.
È “prae-iudicium” negare il saluto e il sorriso, girare lo sguardo da un’altra parte, non rispondere a una richiesta, non ascoltare con gli orecchi e l’attenzione…

Peggio, è “prae-iudicium” non tendere una mano a chi lo chiede, nel posto/momento d’ascolto e d’aiuto.
Riguarda gli ultimi arrivati e i vecchi residenti, l’ultimo volontario o l’operatore, appena innestato, che ci mettono il dito o il vecchio signore che ci sta fin dall’inizio.
La Filosofia di P.U., come l’Evangelo, impone una scelta.
Tutti possono e devono sostituire il “prae-iudicium” con emozione, empatia, comprensione, esperienza, vicinanza, concetti chiave della filosofia di tutto il XX secolo che ha cullato il XXI. Ed entra nella stessa ‘filosofia di vendita’ contemporanea, nel marketing. Che esige fedeltà non solo fiducia!
Via il “prae-iudicium”. Al suo posto cose come accoglienza, apertura, solidarietà, confronto nella verità reale e fattuale danno apprendimento. Come nelle strade polverose di Palestina, praticata dal Figlio dell’Uomo, insegnano a ri-costruire, ri-vedere e ri-cambiare, ri-nascere e ri-vivere.
L’invasore, il nemico, il tarlo che mina le nostre comunità è il “prae-iudicium”.
Primo tra essi “io non potrò cambiare”.
Giudizio interiorizzato da troppi detti esterni: “il tossico non cambierà mai”.
Ecco la fandonia “pre-giudicale”.

Gigetto De Bortoli, direttore resp.le Settimanale Progetto Uomo