La Pasqua è senza dubbio un “passaggio”.
Ma possiamo dire che la Pasqua è solamente il “ricordo” del passaggio dalla morte alla resurrezione di Gesù?
Semplificare il significato della Pasqua cristiana come fosse la semplice celebrazione di un momento storico, per quanto importate, sarebbe ricondurre il senso della nostra fede ad un vuoto rituale, alla memoria di un tempo ormai andato.
Il “passaggio” della Pasqua cristiana non è solo memoria del passato, ma soprattutto Speranza di futuro…
Non celebra un Dio onnipotente, ma rammenta a ciascuno di noi la Sua promessa.
La Sua promessa, ed il nostro impegno…
Il Signore è risorto per chi decide di amare. Per chi ha il coraggio, con tutti i suoi limiti, le fatiche di ogni giorno, le paure e le ferite, insomma con tutto sé stesso, di cingersi i fianchi e chinarsi davanti al suo fratello.
A volte mi chiedo se merito il dono dei poveri e dei fragili che Lui quotidianamente mette davanti al mio cammino.
Se davvero sono degno dell’incontro con il Suo volto sofferente nei volti dei tanti amici dei quali sono chiamato ad occuparmi.
Me lo chiedo nei momenti di maggiore stanchezza e sofferenza, e forse in quei momenti è naturale, è comprensibile.
Ma lo è anche quando invece mi sento forte e soddisfatto?
Nelle quotidiane sicurezze di cui mi circondo, sono aperto al dono dell’incontro con l’altro?
Perché ogni vero incontro è spiazzante, porta confusione, spezza gli equilibri…ti strappa dalle tue certezze quotidiane, dalle comodità che faticosamente raccogli intorno a te.
E’ vero: la Pasqua è un “passaggio” per chi decide di amare…ma amare è un verbo transitivo. E’ anch’esso un verbo di “passaggio”. E’ un verbo aperto verso l’esterno, che necessita dell’altro per completarsi.
Ricordate la domanda del dottore della legge che “volendo giustificarsi disse a Gesù “chi è il mio prossimo?”
Forse non ricordiamo la domanda, ma conosciamo tutti la risposta di Gesù, la straordinaria parabola del Buon Samaritano.
Una racconto senza tempo, una storia di poveri e di potenti, di eroi e di vigliacchi, di morte, violenza e vita. Una storia meravigliosa e straordinariamente chiara nei significati e contenuti.
Eppure nonostante tale chiarezza continuiamo a chiederci, più o meno consapevoli, chi è il nostro prossimo. Forse anche noi, come il dottore della legge, vogliamo giustificare la nostra incapacità di amare senza limiti e senza riserve.
Papa Francesco lo scorso ottobre, con Fratelli Tutti, ci ha regalato una nuova chiave di lettura di questa storia, e forse della storia di tutti noi.
Non dobbiamo più chiederci chi è il nostro prossimo, ma farci noi “prossimi” di ogni altro.
E’ anche questo un “passaggio”, una inversione di ruolo, che toglie ogni possibile giustificazione.
Farsi prossimo è avere compassione, patire con. E come dice papa Francesco compassione significa “prendersi cura”.
Quanti significati per noi che viviamo il volontariato, l’impegno sociale, il vivere nelle fragilità.
Il “prendersi cura” che per noi sembra scontato, in realtà non lo è per nulla. Farsi prossimi senza chiederci chi è il nostro prossimo, impone molto di più di ciò che può sembrare ad un occhio poco attento.
Possiamo limitarci a ritenere sufficiente accogliere chi bussa alla porta dei nostri Centri. Già è una grande cosa, una cosa importante….ma è davvero questo il messaggio Pasquale?
Il “passaggio” impone altro. Passare implica un movimento, necessita un andare.
Farsi prossimi significa muovere verso l’altro. Non aspettare che le cose ci cadano addosso per affrontarle.
Penso in particolare a tutte quelle povertà, nuove e meno nuove, che giacciono sul fondo dell’indifferenza generale sino a quando qualche caso isolato non le porta in superficie.
Quelle povertà che si consumano nel silenzio delle case, nella solitudine delle strade, nell’enormità di una società incapace di vederle.
Il passaggio che impone la Pasqua è un passaggio scomodo, stretto. Un passaggio che inquieta, che ci sottrae alle nostre sicurezze. Anche alle sicurezze dei nostri Centri, dei nostri servizi.
E’ il passaggio da uno stato di quiete ad uno stato di moto. Se la passione di Cristo non è capace di scuoterci, come uomini e come cristiani, non potremo mai cogliere sino in fondo il significato del passaggio alla storia della salvezza.
Si tratta di cogliere concretamente l’essenza del messaggio.
Un messaggio che indica la strada della Speranza…
Anche in questo periodo, la seconda Pasqua in pandemia, nella consapevolezza ormai acquisita della nostra fragilità, siamo chiamati a vivere questa settimana nella pienezza del messaggio cristiano.
Ed è un messaggio che profuma di futuro.
Chi altri, se non noi, siamo chiamati oggi a coniugare i verbi al futuro, a regalare speranza ad una comunità di-sperata.
Chi altri, se non noi, siamo chiamati a pensare in senso progettuale, al dopo pandemia, provando a proporre percorsi diversi fondati sulle relazioni vere e non sui surrogati che il mercato ci ha imposto.
Chi altri, se non noi, siamo chiamati a pensare ad un nuovo modello di sviluppo, che parta dalle persone e non dai consumi, ecologico e sostenibile, veramente umano.
Impossibile? Inarrivabile? Troppo?
Se pensiamo di essere chiamati anche solo ad un granello meno di questo, non stiamo com-patendo il percorso di Gesù.
Non stiamo “passando”.
Non stiamo cogliendo il senso della pietra rotolata davanti a quel sepolcro.
Auguri ad ognuno di Voi, ai ragazzi ed alle famiglie, agli operatori ed ai volontari dei vostri Centri. Che sia una Pasqua di vero “passaggio” per ognuno di noi.

Luciano Squillaci
Presidente Federazione Italiana Comunità Terapeutiche