Mai visto qualcuno fermare un Intercity con un pugno?
 Stessa cosa che fermare la cocaina con un vaccino.
 Problemi personali, disagi familiari, questioni di salute con possibilità di cervello bruciato, inghippi di ordine pubblico, processi giudiziari, consumi e danni economici ingenti, relazioni sociali alterate, irresponsabilità comportamentali, percorsi scolastici troncati, persino progetti politici di traverso… E tutto ciò si affronta con un vaccino?

Un uomo di toga mi chiese aiuto per la sua dipendenza. “Ho un problemino”, mi disse. Poi dopo un giro di frasi continuò, enunciandomi “ho un altro problemino”, poi un altro ancora. Così per sette volte. Certo il percorso scolastico non era stato troncato, dato che era dottore in legge.

  Dal parlamentare alla donna delle pulizie, dal principe del foro al colombiano ricco disceso nella scala sociale fino al consumo e allo spaccio di strada, tutti enumerano “problemini”.
 Non uno solo. Magari la “coca in sé”.
 Ma la “droga in sé, non è il problema”, diceva don Mario Picchi, “il mistero è l’uomo”.
 La realtà è questa. Anche se ci si trova all’inizio, già sono saltati l’equilibrio e l’armonia, interiore ed esteriore, delle relazioni personali e sociali.
 Un vaccino, può servire – volendo – ma non basta, in modo assoluto.
 Con un pugno non si ferma un treno.
 S’è tentato, in analogia, con la pulizia chimica e cura del sonno per una settimana. Procedimento proposto come sicuro e miracoloso (soddisfatto un congruo costo), capace di togliere la dipendenza fisica. Ma la pulizia corporea non riesce a estendersi alla mente e alla volontà. Infatti il metodo è passato di moda.
 Già si continua a tentare con farmaci alternativi, succedanei e oppositivi (vedi pure con l’alcol). Gli esiti sono palliativi. Poi basta un nonnulla e ci si ricasca.
 Da tempo la storia mostra con chiarezza il dato di fatto: l’intervento tecnico sanitario, da solo, non basta.
 La faccenda spiacevole, concomitante all’ipotetico lancio del vaccino anti-coca sperimentato sui topi, non è il marketing, che sempre accompagna l’annuncio scientifico o la molecola farmaceutica risolutiva.
 Chi lavora (come chi scrive) da decenni sul campo degli interventi integrati, socio sanitari e socio relazionali, entra immediatamente in malessere per altro motivo. Si ritrova nella medesima, ripetitiva – ormai stucchevole – “cultura della droga”: cancellare “il” problema con lo schiocco delle dita. Prendi il vaccino e tutto è risolto.
 Esatto, come il gesto di “farsi”. Parola ormai “sfatta”.
 Con un gesto che si affida alla tecnica. Atto automatico e meccanico definitivo,  risolutore di ogni conseguenza. Pura logica di consumo. Pura azione comportamentale.
 Eliminato ogni percorso di consapevolezza per la mente e il cuore.
 Tolto di mezzo l’impegno della volontà e un progetto di ricostruzione.
 La responsabilità di me e della mia libertà, meglio affidarla ad altri.
 Così purtroppo è messo fuori campo il contesto familiare e sociale, l’unico che risolva il problema vero della persona umana: riconoscimento tramite l’appartenenza. Questo passaggio può avvenire solo quando mi metto in relazione di apertura e di servizio, non quando consumo un atto tecnico o un servizio.
 Spiace dirlo ma non mi scuso: prevenire o uscire dalla dipendenza con un vaccino è illusione.

Gigetto De Bortoli