La parola come incipit: gli echi delle Sacre Scritture non lasciano dubbi sulla potenza della parola, di quel “Verbo” che si è fatto pure “carne”.

Ben sappiamo, infatti, come il linguaggio, verbale e non, conformi le nostre esistenze sia con la impossibilità, che gli è propria, a non esistere sia con quella plasticità che lo rende complesso nella sua onnipresenza, in balìa del rischio di venire banalizzato o deturpato.

 

Le vie dell’incontro e del dialogo, Edizioni Ma.Gi., Roma, 2011, pp. 150, € 15,00.

 

Le vie della parola sono infinite ma solo alcune declinazioni della stessa appaiono feconde, basti ricordare le “arditezze” filosofiche dei Sofisti o le liturgie dei regimi totalitari, dove la retorica crea una certa realtà, ignorando, del tutto o parzialmente, l’alterità.

Dirompente veicolo di conoscenza, pur sotto un’apparente umiltà, il linguaggio può, di contro, trasformarsi in ostacolo alla comunicazione stessa, come insegna quanto tramandato a proposito della Torre di Babele.

La parola, inoltre, pur nella sua naturalezza, deve scaturire da una sorgente cosciente cioè consapevole, in varia misura, del peso insito nei termini che vengono espressi poiché emozioni e sentimenti vestono il parlare o il tacere.

Dentro questa ampia e complessa cornice, Vittorio Luigi Castellazzi propone un’approfondita disamina del dialogo, partendo dall’ascoltarsi.

“Conosci te stesso” costituisce l’imperativo di partenza proprio per invitare il lettore a scoprire le ridondanze intime della parola affinché si attui un incontro con consapevolezza; far chiarezza sulla propria identità è presupposto per poter accogliere “l’altro”, senza maschere.

Questa prospettiva prelude all’incontro cioè alla reciproca ed equilibrata invasione dentro due confini intimi, al momento estranei, fino alla scoperta che la parola, ora avvezza all’ascolto e calibrata dall’ascoltarsi, svela uno dei bisogni più profondi dell’essere umano: il riconoscimento, figlio dell’identità e dell’appartenere.

Un bisogno così sentito ma poco riconosciuto nella sua interezza, che oggi può portare a “prostituire” la parola attraverso spudorate apparizioni, su schermi e teleschermi, dove le persone denudano emozioni e sentimenti, più o meno complici degli interessi mercantili dei talk-show e di reality-show.

Non a caso, l’Autore richiama lo spessore del silenzio sia quale sfondo che esalta la parola sia quale comunicazione altrettanto efficace.

Ne consegue che l’ascolto attivo incarni la formula ideale per una comunicazione vera ed efficace, nella ricerca di una perfezione che non ci è concessa, perciò generatrice di dialoghi empatici, scanditi da suoni e silenzi, sguardi e gesti: echi di risonanze che danno significato.

Il resto è cicaleccio, conversazione amena, rumore, auto-ascolto piacevole …

Ma come impegnarsi, dunque, in un’ottica di circolarità, rinunciando ad un pseudo – dialogo narcisistico o conformista?

L’Autore, a tale proposito, spende diversi capitoli del saggio nel descrivere con chiarezza le dimensioni del buon ascolto, in un crescendo che va dalle regole dell’ ascolto attivo, fino allo stupore del sentirsi ascoltati, che può trasformare il dialogo in un’alchimia salvifica.

Nel “panorama cacofonico” odierno, il saggio di Vittorio Luigi Castellazzi offre codici e strumenti per riappropriarsi della parola “feconda”, utile soprattutto a coloro che si riconoscono nel “mestiere di educare”.

di Nicolò Pisanu