Ci sono voluti sette anni per vanificare quell’aspetto deteriore della Legge Cirielli che andava ad intaccare l’impianto “salvifico” della riforma al Testo Unico sulle tossicodipendenze del febbraio 2006.

Dal primo momento abbiamo evidenziato come la concomitante approvazione di due normative, così in contrasto tra loro, rappresentasse, non solo un errore grossolano, ma la incapacità di adottare una politica sanzionatoria funzionale e funzionante sull’utilizzo di sostanze.

 

 

Quante volte, su queste pagine, abbiamo dichiarato che le carceri fossero piene di tossicodipendenti non tanto per la riforma al testo Unico, ma per la presenza della Legge “ex Cirielli”

E’ stato necessario l’intervento della Corte Costituzionale (Sentenza 251/2012 del 5.11.2012 depositata il 15.11.2012) a dare la risposta che tanti e scrupolosi giudici di merito avevano tentato di offrire, restando una minoranza nel mare dell’applicazione pedissequa di una normativa iniqua. Ma soprattutto di un’interpretazione pedante che non consentiva la lungimiranza che, invece, la nostra Corte Costituzionale ha avuto. Scorrendone il testo ritroviamo principi che stavamo mettendo da parte.

Quello della proporzionalità della pena, ad esempio, della necessità di commisurarla al fatto concreto e non ritornare a sistemi sanzionatori esclusivamente retributivi.

La sentenza, in sintesi, sancisce che nei giudizi sui reati di lieve entità relativi al traffico e alla detenzione di sostanze stupefacenti, è illegittimo non poter dichiarare la prevalenza di questa attenuante sulla recidiva, censurando, dunque, l’art. 69, quarto comma, del codice penale.

La Consulta è stata chiamata a decidere sulla base della richiesta avanzata dal tribunale di Torino che stava giudicando con il rito abbreviato un soggetto trovato a cedere un quantitativo di gr 0,40 di cocaina. Il soggetto, dichiarato recidivo reiterato, sarebbe – come del resto molti prima di lui in questi sette anni – andato incontro ad una pena minima di sei anni, eventualmente contemperata dalla scelta del rito.

Ciò sarebbe stato palesemente iniquo, non solo per il comune sentire, ma anche per la Consulta che, finalmente adita, si è espressa in modo inequivocabile riportando serenità nei nostri Giudici, troppo spesso lacerati nell’emettere sentenze.

Questo riporta anche a noi un po’ di serenità, e di speranza nel ritrovare uno spiraglio per dare risposte più efficaci.

di avv. Marco Cafiero