30 Dicembre 2010, chiudo l’anno con un’esperienza che mi riempie d’interrogativi.
Tutto ebbe inizio per me, circa 2 mesi prima, incontro una situazione che mi riporta a circa 25 anni fa, quando per affrontare un percorso di recupero dalla dipendenza delle sostanze spesso, ci si recava all’estero.

Un’esperienza simile e al tempo steso molto differente da allora però con contorni per alcuni versi disvelatori di un sistema che mostra i primi segni di una vecchiaia probabilmente incontrovertibile.
Ecco l’antefatto…

Entro in contatto con una famiglia che nell’ultimo anno ha fatto il percorso delle sette chiese per avere, a loro dire, un aiuto concreto per gestire l’uso complesso che faceva il figlio di alcune sostanze.
Alcool, spinelli, pasticche e cocaina sono le sostanze sperimentate da questo giovane ancora non maggiorenne.
Sono al cospetto di una famiglia moderna al passo con i tempi e con discrete possibilità di scelta, che reagiscono in modo abbastanza rapido ai loro sentimenti di sconforto e d’impotenza. Alla comparsa dei sintomi, che definirei soliti per chi consuma sostanze, ma che in realtà sono sempre più particolari e soggettivi e che in questa storia si rendono concreti attraverso una sorta di apatia sociale, la comparsa di piccoli furtarelli e l’incontro scontro con le forze dell’ordine, questi genitori partono per il loro percorso di ricerca.
Il primo servizio interrogato è google nella ricerca del percorso più personalizzato possibile per la loro situazione poi a ruota l’incontro con il Sert della loro Città, e ancora un appuntamento con un esperto di disintossicazione, di seguito un percorso con un tossicologo privato e infine l’incontro attraverso internet con un programma di recupero che si svolge in America e che è scelto come la risposta.
Io incontro la famiglia proprio alla vigilia della partenza del figlio. Non interferisco su quanto sta accadendo e insieme ci concentriamo sul momento del ritorno.
Ed eccoci al 30 dicembre, seduti intorno ad un tavolo per aggiornarci su quanto accaduto e su cosa si pensa succederà nel futuro prossimo.
Una cena occupata sì dalle pietanze ma soprattutto  dall’inevitabile confronto sui sistemi di cura, quello nostrano e quello americano.
Darò contro segnalando le domande che mi sono state rivolte e che a mia volta ho rivolto a questa famiglia che ha trovato una risposta così lontano.
Prima loro:
“Ma perché ci hanno offerto terapie farmacologiche per un ragazzo così giovane, e le dinamiche su cui discutere si limitavano al dosaggio e al rispetto delle terapie?
Sai che in America ha smesso di usare sostanze e farmaci senza problemi?
Perché nei diversi studi che abbiamo frequentato nessuno ci ha fatto una diagnosi sulla compulsività alle sostanze anche “leggere”?
A noi come famiglie non è stato offerto sostegno, ci hanno seguito con più facilità dall’America attraverso il computer”.
A chi legge eventuali risposte, le mie rimangono nell’intimità della nostra cena, qui mi limiterò a segnalare le consapevolezze che hanno acquisito durante questo loro percorso che dura da più di 2 anni.
Ecco cosa ha cambiato il loro approccio al fenomeno del consumo additivo delle droghe del figlio:
“la prima cosa che abbiamo notato ha a che fare con la presa di coscienza del problema che per noi è stata facilitato anche da una definizione diagnostica fatta dagli operatori stranieri.
La seconda cosa è stata per noi dolorosa ma necessaria e riguarda la separazione del nucleo patogeno famigliare e sociale.
La terza e connessa alla strategia di cura e alle modalità di riparazione delle relazioni.
Per finire la cura delle dinamiche di riavvicinamento all’ambiente sociale e famigliare”.
Ora io.
Devo dire che provo un po’ d’imbarazzo nel sapere che questi sono i pilastri dei trattamenti per le dipendenze,  vedere che questa famiglia ha dovuto cercare fuori dal loro territorio mi amareggia, ma è pur vero che chi cerca trova e spesso si trova anche in base alle proprie possibilità.
Se una rondine non fa primavera spesso la stessa rondine ci dice che la primavera sta per arrivare e allora due sono gli interrogativi  che questa storia mi lasciano:
Molti degli sforzi dei professionisti impegnati nel sistema dei servizi, sono rivolti alla gestione delle dinamiche economiche, alla definizione delle procedure e al raggiungimento degli standard degli accreditamenti, ma come il particolare può stare dentro a tutto ciò?
E’ pur vero che chi usa sostanze rimane il soggetto principale dei percorsi di cura, ma in quelle situazioni dove le famiglie sono disposte a partecipare  a coinvolgersi cosa trovano nei nostri servizi?

E stiamo parlando di un consumatore additivo moderno non del solito eroinomane.

Ivan Mario Cipressi