La proposta dell’Onorevole Salvini in tema di repressione al traffico di stupefacenti mi lascia molto perplesso. Mi colpisce, infatti, come si voglia proporre un intervento mirato a rispondere esclusivamente ad esigenze di sicurezza dei cittadini attraverso un’azione esclusivamente repressiva dimenticando il compito di un Governo di un paese civile: la creazione di benessere.

E’ evidente come il benessere derivi anche dalla rimozione di tutto ciò che ne impedisca la sua realizzazione a livello collettivo, ma ciò non basta a combattere un disagio che nasce all’interno dell’essere umano e si estrinseca in condotte che si trasformano in un malessere sociale.

Una riflessione sulla certezza della pena in un’ottica riparativa e non meramente repressiva.

Mi sembra di assistere ad una terapia che si limita a combattere i sintomi senza mai effettuare una seria diagnosi che individui la patologia reale.

In particolare il tipo di terapia che si intende proporre rischia di rendere ingravescente la malattia senza alleviare in alcun modo i sintomi. Non ci rendiamo conto che tutto ciò è paradossale.

Da tempo immemore, chiediamo allo Stato di intervenire sul disagio anche attraverso la modifica del DPR 309/90 individuando quei meccanismi malfunzionanti che non sono riusciti a combattere il malessere sempre più diffuso.

Chiediamo di investire in interventi che potrebbero ridurre, se non vanificare il problema. Ci viene risposto che le risorse economiche non sono sufficienti, che i fondi destinati alla prevenzione non sono recuperabili, che quelli per il trattamento sono limitati. Mi chiedo, però, come mai non manchino quelli destinati alla repressione, all’aumento del carico giudiziario.

La proposta dell’On Salvini, se pur rispondete a criteri di sicurezza in linea con il pensiero del partito di cui è emanazione, tralascia una visione più ampia ed economica di riduzione del problema, che non significa riduzione del danno con palliativi, bensì ad appropriarsi di metodologie tipiche di una società educante.

Bisogna paragonare lo Stato ad un padre di famiglia che educa i suoi figli nel corso della loro evoluzione trasmettendo valori ed assicurando la sua presenza anche per supportarne il malessere prevenendone le sofferenze, e non quello che se ne disinteressa per poi intervenire in modo soltanto repressivo investendo energie inefficaci e dolorose.

Dispiace sentir dire al Ministro dell’Interno che bisogna combattere i mercanti di morte, affermazione corretta, senza tenere conto del problema del consumatore. Si tratta di un’affermazione pericolosa perché è proprio quest’ultimo a finire sotto la scure della proposta, i veri mercanti di morte sanno bene come evitare la sanzione.

L’abolizione del concetto di “modica quantità” che nel tempo è diventato “dose media giornaliera”, passando sotto le forche caudine di un referendum popolare, rappresenta l’elemento distintivo tra colui che utilizza droga per lenire una propria sofferenza e colui che della sostanza ne fa un prodotto per realizzare un lucro. Per quest’ultimo l’impianto sanzionatorio, sia pure correggibile, esiste e potrebbe essere efficace.

Il riconoscimento del problema legato al mero consumo evitando la criminalizzazione di un soggetto la cui devianza è soltanto la conseguenza di un disagio è il frutto di un pensiero illuminato risalente agli anni settanta: la sua rimozione ci riporta indietro di oltre quaranta anni.

Il nostro paese non ha bisogno di regressioni: fa già tanta fatica ad evolversi in modo costruttivo.

Tutti i governi, che hanno preceduto l’attuale, hanno riconosciuto la valenza di tale discrimine senza mai porla in discussione, talvolta introducendo sanzioni inefficaci come quelle amministrative che colpiscono la detenzione per uso personale. Ma la loro inefficacia non riposa nella mancata criminalizzazione del consumatore, soltanto sull’inettitudine della loro valenza educativa che spesso giunge dopo troppo tempo senza offrire, o imporre, proposte costruttive che rappresentino un messaggio significativo.

Vorrei proporre al Ministro Salvini una riflessione sulla certezza della pena in un’ottica riparativa e non meramente repressiva. Sono sicuro che oltre ad essere efficace sotto il profilo della consapevolezza di una presa di distanza da un pericoloso stile di vita per il consumatore, rappresenterà un forte risparmio per lo Stato ed un diffuso benessere per la collettività.

Chiedo al Ministro Salvini di astenersi da proposte populiste e valutare la possibilità di coinvolgere il territorio con le sue innumerevoli risorse per sconfiggere la malattia.

Sono certo che non si tratti di un male incurabile, basta solo utilizzare le terapie adeguate.

Avv. Marco Cafiero

Specializzato in criminologia clinica

Membro del Consiglio di Presidenza della F.I.C.T.