Riprendiamo il discorso della “Giustizia di Comunità”: un tema che mi è particolarmente caro per averlo approfondito nell’ultimo ventennio, in tempi quasi non sospetti rispetto alla rivoluzione n atto.
Riflettendo su quanto ho già espresso sulle pagine di questa rivista non posso esimermi dall’esprimere qualche pensiero sul decreto sicurezza approvato dal Consiglio dei Ministri il 16 novembre scorso.
Non posso stupirmi dei contenuti dal momento che sono espressione di una maggioranza che, da sempre, intende affermare la sicurezza specialmente urbana. Ne sono la prova le norme che riguardano l’occupazione di edifici, la generale autorizzazione alle Forze di Polizia di portare con sé armi al di fuori del servizio e la possibilità di disporre il cosiddetto “DASPO urbano”, previsto per le manifestazioni sportive, anche per vietare l’accesso alle aree di infrastrutture e pertinenze del trasporto pubblico
Contestualmente mi rammarico per l’atteggiamento oltremodo intransigente che mette in seria discussione l’ideale normativo sotteso alla Riforma Cartabia in materia penale. Il processo di inclusione si arresta qui, quanto meno in modo parziale, ma sicuramente aleggia un messaggio che mal si concilia con la responsabilità che il nuovo corso penale intende introdurre.
Sicuramente il fenomeno dell’occupazione abusiva rappresenta un serio problema; ma non è introducendo il reato di “occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui”, perseguibile a querela della persona offesa, che punisce, con la reclusione da due a sette anni, risolva il problema; se mai rappresenta un atto di forza nei confronti di una realtà che richiederebbe strumenti decisamente più efficaci e meno criminalizzanti. Se l’obiettivo è quello di consentire il rapido rientro in possesso dell’immobile occupato, con provvedimento del giudice nei casi ordinari e, quando l’immobile sia l’unica abitazione del denunciante, con intervento immediato della polizia giudiziaria, lo stesso può essere attuato senza la necessità di ampliare il codice penale.
Ma soffermiamoci sulla fattispecie definita “truffa aggravata”. Essa, da sempre, sanziona colui che profitta di circostanze tali da ostacolare la pubblica o privata difesa ed è solitamente ascrivibile alle truffe online. Quasi tutte le Procure contestano l’aggravante per trasmettere il disvalore derivante da un comportamento di tal fatta. Tuttavia l’aggravante blinda la possibilità per la parte offesa di rimettere la querela anche per truffe di scarso valore economico, disincentivando così il risarcimento del danno che, a quel punto diventa ininfluente. In controtendenza rispetto alle opportunità riparatorie oggi assistiamo ad una maggiore criminalizzazione del fenomeno vanificando possibili “dialoghi riparatori”, arrivando a prevede finanche l’arresto obbligatorio in flagranza.
L’allarme maggiore proviene dal grido espresso dalla Conferenza dei Garanti Territoriali delle Persone Private della Libertà.
L’affermazione della sicurezza urbana passa attraverso la denuncia di quei comportamenti realizzati da persone che si avvalgono di quella che alcuni definiscono “impunità” in ragione della funzione materna. I Garanti sono preoccupati, infatti, per l’abrogazione dei commi 1 e 2 dell’art. 146 del codice penale che fa sfumare l’obbligo di differire la pena nei confronti di donne incinte e madri di prole inferiore a un anno. Tale obbligo non è frutto della riforma penitenziaria del 1975 o della Legge Gozzini, ma risale alla formulazione originaria del codice penale, sorto in un periodo politico non proprio democratico.
Oggi, a dispetto di una importante evoluzione umana della Giustizia che ha visto affermarsi l’ideale riabilitativo ed inclusivo con aspetti riparativi, assistiamo ad un ritorno del sistema retributivo! Ecco che, al fine di assicurare la certezza dell’esecuzione della pena nei casi di grave pericolo, concetto che prevede una forte discrezionalità da parte del Magistrato di Sorveglianza, si modificano le norme relative al rinvio della pena per donne incinte e madri di bambini fino a un anno di età, in modo da rendere tale rinvio facoltativo anziché obbligatorio.
Entrano in gioco carceri speciali c.d.a custodia attenuata, come avvenne per i tossicodipendenti nell’ormai lontano 1990. Si chiamano ICAM gli istituti a custodia attenuata anche per le donne incinte e madri di prole fino a un anno.
Secondo la Conferenza dei Garanti la realtà ICAM si rivela superata dall’esistenza di Case Famiglia Protette, istituite con la legge 62/2011. Il concetto di protezione della maternità deve necessariamente prevalere sull’esigenza custodiale che inficia un bene fondamentale come l’interesse del minore sancito dall’art. 3 della Convenzione del Fanciullo del 1989.
La discrezionalità sulla valutazione del pericolo trascura inevitabilmente l’esistenza di quegli istituti già previsti dall’ordinamento penitenziario che offrono la possibilità di usufruire di altre forme detentive decisamente più adeguate alla funzione materna e all’interesse del minore. Forme che già fioriscono nella fase del Giudizio e che percorrono un sentiero sicuramente inclusivo in cui la Comunità viene ad assumere un forte valore accogliente.
Mi chiedo cosa rimanga della Giustizia di Comunità con le sue relazioni, valori ed opportunità. Cosa ne è della riparazione, dell’accoglienza…del dialogo..
Se il bisogno di sicurezza ha portato gli italiani a fare una scelta elettorale precisa, non posso esimermi dal rilevare come tutto ciò si riveli anacronistico e contraddittorio rispetto alla reale esigenza di pacificazione e decarcerizzazione.
Riflettiamo.

Avv. Marco Cafiero
Consulente FICT