Pubblichiamo gran parte di un’analisi del presidente e del vicepresidente dell’Associazione M.I.L.L.E., con una proposta di lavoro, che riprendiamo da “Vita”, del 02/01/2020, a nostro parere molto illuminante ed equilibrata rispetto sia al caos normativo attuale sia alle prese di posizione integraliste che alimentano lo scontro fra le parti in causa, nuocendo agli Educatori stessi.

«Dopo l’emanazione della Circolare 87/bis – sollecitata da associazionismo professionale, mondo universitario e del lavoro, che integra e modifica parzialmente la precedente Circolare 87 – la Federazione ordini professionali dei TSRM e delle professioni sanitarie chiede un confronto interministeriale sul tema del doppio profilo di educatore professionale e sugli ambiti e le attività di pertinenza. Contemporaneamente, il Parlamento ha stabilito una proroga fino al 30 giugno del termine per l’iscrizione agli elenchi speciali.
Tirano un sospiro di sollievo molti colleghi educatori professionali, in particolare gli EP socio-pedagogici, per i quali non sussiste l’obbligo di iscrizione agli elenchi speciali se svolgono le attività socio-educative per loro previste, e sembrerebbe dunque scongiurato al momento il rischio di licenziamento o di abuso di professione in ambito sanitario.
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La relativa tranquillità data dall’attuale contingenza ci permette di mettere sul piatto alcune riflessioni. Come abbiamo visto, esiste una congerie normativa complessa e contraddittoria che ha alimentato nella gestione dei servizi (e quindi nel welfare) ampi margini interpretativi e prodotto incertezza. Il riferimento al datato D.M. 520/98 da una parte viene interpretato in maniera estensiva, con la pretesa di mantenere riservata per l’educatore professionale sociosanitario la intera gamma delle attività ivi previste, compreso quelle specificamente sociali ed educative, da altre integralmente negato immaginando all’opposto, per la stessa figura, solo funzioni ed ambiti strettamente sanitari. Analoga sorte viene riservata ai commi 594-596 della legge 205/2017 integrati dal comma 517 della legge 145/2018, la cui validità viene da alcuni estesa in forma esclusiva (ed escludente) a tutti gli ambiti socio-educativi, o viceversa sostanzialmente disconosciuta da altri. In questa seconda accezione, a farne le spese sarebbero stati educatori professionali socio-pedagogici e pedagogisti, privati persino delle proprie peculiarità educative.

In questo quadro, la scelta di istituire con la legge 3/2018 (meglio nota come “Legge Lorenzin”) i nuovi ordini professionali, a molti apparsa anacronistica ed in controtendenza rispetto al contesto internazionale (non va dimenticato che fu fortemente criticata dalla autorevole Autority antitrust), ha comportato una frattura ulteriore all’interno di una categoria già attraversata da divisioni e afflitta da cronici problemi di riconoscimento della dignità professionale, contrattuale e salariale. Ed infine i famosi elenchi speciali, istituiti meritoriamente con l’intento di regolarizzare la posizione di chi esercitava una professione sanitaria senza titolo adeguato, sono stati invece per gli EP nuovo terreno di scontro tra i due profili. Alla asprezza di certe condizioni di lavoro – ed alla particolare delicatezza della esposizione lavorativa a situazioni disagio psico-sociale – per decine di migliaia di educatori si è quindi aggiunto un “incubo burocratico”, peraltro ancora non del tutto chiarito.
Questo paradossale quadro di interpretazioni “a fisarmonica” – diffuso a macchia d’olio sui social network – ha mandato in tilt uffici personale e messo in allarme gli enti gestori, pubblici e privati, e i sindacati, per non parlare dei professionisti stessi. Allarmati da timori di ipotetiche nuove ondate di esodati. Una volta generati, per sedare questi timori non bastano clausole di salvaguardia, elenchi speciali o corsi da 60 CFU. Peraltro, anche su queste ultime due realtà – 60 cfu e iscrizione di elenchi speciali – si è generata grande confusione. Infatti, in molti hanno male interpretato il significato originario di provvedimenti rivolti a sanare operatori in servizio privi di titolo, estendendone il significato a meccanismi di compensazione da un profilo di educatore professionale a quell’altro e viceversa. Risultato: caos totale.
Le responsabilità di tutto ciò sono ampie e diffuse, a cominciare dal legislatore stesso, che ha prodotto interventi parziali a livello nazionale e incoerenti a livello locale (esemplificativo, da questo punto di vista, la possibilità, tuttora prevista da molte Regioni, di lavorare come EP senza alcun titolo specifico); non sono prive di responsabilità le Università, che hanno colpevolmente ignorato le conseguenze della attivazione di due corsi di laurea per lo stesso profilo; si aggiunga la anomala collocazione dell’Educatore Professionale in ambito sanitario e la recente istituzione dell’Albo Professionale, che, pensato anni fa a tutela delle professioni che racchiude, si è trasformato per gli Educatori in elemento divisivo e di conflitto; non sono immuni da responsabilità nemmeno gli enti privati, che continuano ad immettere personale non qualificato nei ruoli di educatore professionale ed operano delle forzature non sostenute dalla legge escludendo uno o l’altro profilo da determinati ambiti (clamorosa, in questo senso, la richiesta ricevuta da alcuni colleghi con titolo regionale di riqualificarsi come EP socio-pedagogico con i 60CFU per lavorare in ambito sociale…). E infine, gli Educatori stessi, troppo “presi” dalla quotidianità del lavoro e troppo distratti e disinformati rispetto alle decisioni che ci riguardano come categoria (anche qui, un dato che parla chiaro è la scarsissima affluenza alle elezioni delle commissioni d’albo, che non può essere derubricata a semplice risposta critica all’albo stesso ma è anche, molto probabilmente, indice di una più generale resistenza ad assumersi responsabilità di categoria).
Questo elenco non ha lo scopo di cercare un “colpevole”, ma solo quello di rimarcare la complessità del quadro e la necessità di superarlo. E, indipendentemente dalle responsabilità, a farne le spese in misura più significativa sono ancora una volta stati gli stessi educatori e di riflesso gli utenti. La mole di quesiti che abbiamo ricevuto in questi mesi nella nostra AGORÀ M.I.L.L.E. (forum su Facebook che conta ad oggi oltre 3.200 membri) è davvero impressionante. Soverchiante.
E questo è indicativo di alcune evidenze:
1) la capacità informativa dell’albo/ordine non è stata efficace né capillare, ed in taluni casi fuorviante. Ora, fortunatamente, la circolare 87 bis finalmente pone fine ad una serie di comunicazioni confusive;
2) il livello di certezza sugli ambiti lavorativi, le sovrapposizioni e i confini dei due profili di educatore professionale non è ancora, al momento, sufficientemente chiaro.

In questi mesi abbiamo purtroppo riscontrato come a nostro avviso deficitario il ruolo giocato dalla AMR Anep. Associazione che parrebbe aver scelto lo scontro frontale a suon di ricorsi, anziché porsi al servizio della categoria facilitando proprio ciò che noi dei “MILLE” riteniamo di cruciale importanza: la compresenza ed armonizzazione delle diverse figure educative che il quadro normativo consentirebbe. Allo stesso tempo abbiamo maturato analoghe critiche nei confronti delle scelte operative e delle modalità comunicative della Associazione Apei, che sembra ugualmente propensa allo scontro e che pare purtroppo voler cristallizzare “ab aeternum” la divisione dei due profili di EP. Ovviamente non neghiamo che queste due importanti associazioni siano rappresentative di parte del mondo professionale di cui stiamo trattando e saremmo felici se entrambe, al posto di una linea conflittuale, scegliessero la via del confronto aperto e della mediazione per giungere a soluzioni avanzate e positive per tutti.

In mezzo a queste posizioni polarizzate e divaricanti vi è una categoria che vive con sofferenza sia la forzosa collocazione di essa nella definizione di “professione sanitaria”, sia il doppio binario formativo e di profilo. Categoria che, a nostro parere, è molto più pronta di certe associazioni a riconoscersi reciproca legittimità e vicinanza, quando non una sovrapponibilità di compiti e competenze pressoché totale e indipendente dal profilo formale di appartenenza.
Come già accennato, la circolare 87/bis fortunatamente mette uno stop temporaneo a questo diluvio di ansia. Si viene così a creare uno spazio che consente di analizzare la situazione con più calma, guardando al fondale dopo che la sabbia si sia depositata.
Crediamo sia ora giunto il momento di avanzare una riflessione propositiva e aperta sulla fase nuova che si prospetta.
Dalle diverse componenti del mondo del lavoro, ma anche dalla Conferenza delle Regioni e delle province autonome, emerge l’esigenza di andare urgentemente verso una semplificazione della congerie normativa. Semplificazione che appare improcrastinabile e dovrebbe portare ad una sospensione delle conflittualità per giungere ad un quadro il più possibile condiviso.
Riteniamo che un passaggio fondamentale di questo auspicabile percorso debba essere una moratoria almeno per tutto l’anno 2020 della effettività dell’albo per gli Educatori Professionali e degli elenchi speciali ad esaurimento per la stessa figura professionale.
In questo ragionevole lasso di tempo il legislatore dovrebbe provvedere ad approvare una legge quadro organica sulle figure di Educatore Professionale e Pedagogista.
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La moratoria, necessariamente accompagnata dalla temporanea autorizzazione ad operare pienamente ed in qualsiasi ambito per entrambi i profili professionali, offrirebbe tempo per raccogliere una serie di elementi significativi ai fini delle scelte legislative future.
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Il tempo di un anno ci pare adeguato per una istruttoria completa e per arrivare alla auspicata chiarezza normativa; fermo restando che, nel caso il legislatore non concludesse l’iter, sarebbe necessario prorogare la moratoria.
Il nostro auspicio è che l’esito di questo percorso sia un NUOVO profilo UNICO di Educatore Professionale di matrice sociale, secondo il modello prevalente in Europa. Con una formazione multidisciplinare ed innovativa, integrata, complessa e dinamica. Che prenda il meglio dei percorsi formativi attuali e passati. Italiani e esteri. Un percorso che abbia il suo cuore epistemologico in ambito umanistico e nelle scienze della educazione, ma al contempo sappia attrezzarsi per rispondere alle domande ed ai bisogni dell’oggi, diversi da quelli di vent’anni fa e forse più complessi. Integrando competenze riabilitative ma non solo; interrogandosi sul rapporto individuo-comunità; valorizzando nozioni di animazione sociale, giornalismo sociale, studio degli spazi urbani in funzione della qualità di vita, legislazione di settore, mediazione interculturale, educazione ambientale. Occorre superare steccati e resistenze corporative. Porsi in ottica scientifica una riflessione sulle domande e sulle emergenze educative di questa intricatissima società di oggi.
Non possiamo poi non fare alcune considerazioni che esulano dagli aspetti più strettamente tecnici ed entrano nel campo della qualità del lavoro. Siamo alla vigilia di importanti tornate di rinnovi contrattuali, come quelli del pubblico impiego. Nel comparto degli Enti locali si attende ormai da decenni che il sistema di classificazione preveda il giusto inquadramento degli Educatori in fascia D, come personale laureato. Ma ad ogni rinnovo contrattuale il tema viene inaccettabilmente rimandato a code contrattuali che mai si realizzano e a commissioni paritetiche che non deliberano. Il risultato è che negli Enti locali la stessa figura professionale viene inquadrata a macchia di leopardo, in modo difforme sul territorio nazionale. Inoltre, registriamo ancora come diffusa -nel privato sociale – la pratica delle cosiddette “notti passive”, che sono l’emblema della fragilità e della mortificazione delle figure professionali educative e socio-assistenziali. Pensiamo che sia il caso di affermare ancora una volta che il lavoro va riconosciuto e retribuito, e che le notti passive sono frutto di una alchimia perversa che cerca risparmi di bilancio attraverso la svalorizzazione delle professioni.
Anche da questo punto di vista il profilo unico potrebbe portare benefici, sia facilitando le collocazioni contrattuali, sia consentendo agli Educatori Professionali più agevole mobilità nei diversi comparti della Pubblica Amministrazione, così come più agili possibilità di trasferimento tra servizi dedicati ad utenze diverse nel privato sociale. Non bisogna infatti dimenticare che la possibilità di “cambiare” settore, servizio, utenza è un fattore protettivo nei confronti dello stress lavoro-correlato e del burn-out.
Si sottolinea infine che un futuro profilo unico dovrebbe assolutamente passare per un “punto zero” che convalidi senza penalizzazioni le formazioni passate nei due poli formativi e le precedenti formazioni regionali. Dando sicurezza a tutta la categoria, continuità e stabilità ai servizi, qualità degli interventi alle diversificate utenze».

Andrea ROSSI, Presidente Associazione M.I.L.L.E.
Fabio RUTA, Vice Presidente Associazione M.I.L.L.E.