Non si placano le polemiche sull’applicazione della Giustizia Riparativa!
La presa di posizione che osteggia la realizzazione di quella che vuole definirsi “rivoluzione copernicana” evoca un modo reazionario di preservare il mantenimento di un ruolo professionale che sembra attraversare una fase di svilimento sotto le mentite spoglie della tutela di principi fondamentali del diritto.
La reazione viscerale cui stiamo assistendo invoca il principio di legalità quale unica certa garanzia riconosciuta agli imputati: principio indiscutibile e indiscusso.
Si afferma che le garanzie processuali verrebbero messe in discussione a favore di un sistema punitivo di carattere etico che calpesta il carattere laico del diritto penale e la presunzione di innocenza.
È sorprendente come si parli di etica in una società che quotidianamente “forza” le persone a prendersi cura del benessere collettivo piuttosto che di quello individuale esprimendo moniti che incidono sulle coscienze e sull’attenzione per l’altro in tutte le sue manifestazioni, purtroppo senza eccessivi risultati
L’unico aspetto del ragionamento sotteso che mi sento di condividere riguarda il “presupposto consensuale”.
L’adesione ad un processo riparativo sarebbe condizionata dal “suggerimento” del Giudice, resterebbe davvero libera la sua prosecuzione. Senza dubbio questa criticità sussiste ma ritengo che altri interessi la rendono superabile: gli obiettivi sono alti tra cui quello di porre fine al sentimento collettivo giustizialista che permea la nostra società fomentato dai mezzi di comunicazione che aizzano le vittime ad invocare pene severissime.
La Giustizia Riparativa ha proprio l’obiettivo di indurre la collettività non ad acclamazioni forcaiole a ad assumere un ruolo responsabile nell’inclusione che va nella direzione della tutela delle vittime.
Ritengo che osteggiare la realizzazione della Giustizia Riparativa sia frutto della necessità di mantenere inalterato un ruolo difensivo volto all’affermazione di principi costituzionalmente garantiti ma anche ad uno strumentale mantenimento di prerogative professionali a dispetto del benessere collettivo. Il reato inteso come evento relazionale deve rispettare il principio di uguaglianza, costituzionalmente garantito, il principio di imparzialità del giudice ed il principio di non colpevolezza, anch’esso espressione della nostra Carta Costituzionale
Il collega Avv. Michele Passione e il Prof. Mitja Gialuz, sulle pagine di “Il dubbio” del 30 ottobre u.s. evidenziano come sia il processo che la pena, attualmente, “non riescono a mantenere le promesse degli articoli 2, 3 e 27 della Costituzione”. Le mancate risposte possono giungere proprio dal modello riparativo introdotto. Non assistiamo ad un binario parallelo di Giustizia: il giudice non invia, suggerisce ed autorizza.
Non parliamo più, per favore, di “rivoluzione copernicana” in modo da non alterare equilibri già faticosamente raggiunti nella seconda metà del secolo scorso, parliamo di “evoluzione” e affermiamo la complementarietà di un istituto molto coraggioso, come afferma egregiamente la collega Diletta Stendardi sulle pagine di “Il dubbio” del 30 ottobre u.s., a cui rimando per una lettura molto attenta. Leggere le sue argomentazioni mi induce a ritenere evolutiva questa riforma tanto discussa, per cui mi associo alla sua citazione del Prof. Ceretti quando l’esimio cattedratico sostiene che un processo riparativo sia caratterizzato dalla “perdita del prima”.
Parlare di rivoluzione rimanda ad un “sovvertimento” non ad un “cambiamento”: nessuno vuole buttare via il bambino con l’acqua sporca. Il “bambino”, naturalmente, è costituito da tutte le garanzie processuali invocate che permangono.
Il cambiamento è frutto di coraggio, di modificazione della visione, di spostamento, termine che come è noto mi è caro. Dalla staticità dell’attuale sistema penale passiamo ad un modello dinamico che consente la fantasiosa creatività. Non potremo mai realizzare un vero modello riparativo senza essere convinti del valore che rappresenta.
Mi piace sempre sostenere che la “riparazione” costituisca la sorpresa di una realtà non anticipata né anticipabile che le parti in conflitto riescono a creare nel corso di un incontro che, inizialmente, può rappresentare una forzatura ma che, nel prosieguo, si trasforma in “qualcosa” che nessuno riesce a concepire preventivamente.
La Comunità solidale è il luogo nel quale si possono promuovere stili di vita e di relazioni orientati al benessere della persona, della collettività e alla pace sociale.
Il Terzo Settore risponde alla richiesta di affermazione di una Giustizia di Comunità con interventi di socializzazione capaci di interrompere carriere devianti. Riesce a promuovere la riparazione laddove crea agenzie socio-educative che strutturano un patto educativo.
La società civile assume un ruolo da protagonista della ricostruzione di un rapporto fratturato,
La rilevazione di nuove forme di crisi e disagio giovanile ci chiede di affermare che la via riparativa alla gestione di conflitti possa costituirsi come paradigma socio-pedagogico capace di creare nuovi significati e nuove opportunità di crescita e di maturazione evolutiva per le persone in difficoltà.
Siamo abituati ad una Giustizia con la spada a cui rispondere con altra spada. E se deponessimo le armi?

di avv. Marco Cafiero, specializzato in criminologia clinica e consulente F.I.C.T.