Caro Gesù,

un anno di attesa  per risentire ancora una volta la magia che inonda l’aria e la profuma di TE. E, in ginocchio, davanti alla piccola, povera, eterna grotta voglio raccontarti di me, di noi uomini, credenti e non, poiché tutti abbiamo bisogno di Te, Dio Bambino. Abbiamo bisogno, come l’aria che respiriamo, di trovare risposte ai soprusi, alla violenza gratuita, ai tradimenti, alle delusioni, alle discriminazioni senza una logica e, molto di più, al perchè i poveri sono sempre di più ma sempre meno di chi approfitta indegnamente di loro.

Natale 2014

A tal proposito Ti voglio raccontare un accaduto che mi ha lasciato dentro lo stupore dell’ incontro.

Sono poco più delle due di pomeriggio. Arrivo trafelato in ospedale. Il mio confratello, don Angelo, è  appena uscito dalla  sala operatoria. In quella stanza ho l’impressione di  racchiudere in un pugno tutta la sofferenza  che vibra nell’aria e ancor di più la profonda solitudine che, sempre,  accompagna  il dolore.

Il mio amico era lì, scoraggiato dopo aver tanto incoraggiato gli altri; solo, dopo aver tanto accompagnato; impaurito, dopo aver tanto  proferito  parole di speranza;  e ammalato! Che desolazione, mio  Gesù …

Le mie mani volevano confortare e rassicurare l’amico per il colpo inaspettato, perchè non siamo mai pronti ad affrontare tali eventi, nonostante ci pensiamo ogni giorno e nonostante la speranza sia presente nella nostra vita come acqua fresca sull’erba del giardino al mattino, ma, nel gesto, il mio cuore si stringeva e questa sensazione non mi piaceva.

I miei pensieri, andando via, accompagnarono poi i miei passi …  Presi  le chiavi e aprii la portiera della macchina. Entrai sconfortato e con riluttanza, quando sentii dei rintocchi sul vetro. Davanti a me un uomo dall’aspetto macero e stanco, dal volto squadrato, uno dei tanti che ogni giorno cercano un po’ di elemosina all’angolo di una strada, illuminato da occhi brillanti. Abbassai il finestrino e chiesi se avesse  bisogno di qualcosa con l’ ennesima consapevolezza mista a rabbia ogni volta che vedo il mondo girare intorno ai ricchi e la sofferenza dei poveri messa ai margini. Ciò, in quel momento di tristezza, mi faceva male, più male del solito. E, quasi inconsapevolmente, diventai scorbutico.

Ma l’uomo dal volto lucente, con voce suadente mi disse:  “non essere triste,  la gente ti vuole molto bene … Io c’ero al tuo  25° di sacerdozio … anche io ero lì .. e davvero la gente ti vuole molto bene.”

Le sue parole mi fecero ritornare al mio posto e sentii il contatto con il sedile ma, al contempo, scatenarono in me  un turbinio di domande. Chi è costui veramente? … non l’ho mai  visto … già, non lo avevo mai visto realmente, e sono trascorsi quasi due anni dal mio anniversario… ma era lì per me!

Perché era in me da sempre. Era il mio sogno di giustizia sociale … la forza di credere nella speranza sempre e nonostante tutto … il desiderio profondo di non abbandonare mai chi tende la mano e la forza per non sentire  il peso dell’abbandono …

Quell’uomo era la mia fede ed era lì  per me, per fugare i miei dubbi, per difendermi da me stesso.

Ecco, Dio con noi, in quell’istante riconobbi, nel tenerissimo uomo, il dono che Tu mi avevi fatto con assoluta semplicità, sorprendendomi e incantandomi.

Come mi piacerebbe che tutti gli uomini possano sentirsi liberi, come me in quel momento particolare della mia vita, liberi dalle cose , dai falsi idoli che spesso ci impediscono di pensare e sentire col cuore rendendoci  schiavi di noi stessi e prigionieri delle nostre paure;  liberi dalle rabbie che offuscano la lucidità dello spirito, individualisti e soli in una società arida e senza il germoglio della speranza. Fa male, tanto male pensare a tutte le persone che si affidano a noi per cogliere un po’ di speranza, un po’ di conforto, o semplicemente perchè hanno fame o sete. E noi che facciamo? non li sentiamo e non li vediamo nemmeno sulla nostra strada. È come se appartenessimo a due mondi, a due vite distanti e diverse fra loro. Ma non è cosi e lo grido… ma perchè non lo capiamo!? Tu sai quante e quante volte ti affido il mio malessere, specie quando non trovo le parole di conforto da dare perchè lo scoraggiamento, la rabbia per l’impotenza, l’indignazione, prendono in me il sopravvento.

Signore, Principe della pace, perdonami per lo sfogo, ma ci sono momenti in cui mi sembra che tutto vada al rovescio: l’ingiustizia sempre più ingiusta, l’ individualismo galoppa ma anche il semplice rispetto per l’altro sembra essere stato dimenticato. Ti chiedo perdono per tutte le volte in cui siamo arroganti e prepotenti con i deboli e non ci facciamo carico dei poveri, anzi da essi ci separiamo per paura di sporcarci… senza sapere che non tendere la mano, defilarsela o fare l’elemosina per mettere a tacere la coscienza, è la sporcizia più grande.

Ma Tu insegni  che abbassarsi senza nulla trattenere è la via per quella altezza che il Vangelo chiama carità. Ma dov’è la carità se per le strade incontro tanta  gente che dorme negli angoli dimenticati, se nelle case si consumano  tragedie per un fallimento nel lavoro o per la paura di non poter sfamare la propria famiglia, se bambini innocenti e ignari diventano merce di scambio o sfogo per adulti violenti?

So che per Te diventa dolore ciò che io osservo con dispiacere: tutte le volte che in tanti si arricchiscono sulle spalle dei poveri, tutte le volte che gli stessi poveri sono “usati” per un’affermazione personale, per costruire un’immagine.

No, non si possono “usare” i poveri, i diversamente abili, gli extracomunitari o tutti quelli che fanno fatica, non sono materiali da costruzione su cui edificare passerelle o mausolei: la solidarietà sotto i riflettori è sempre ambigua.

I poveri, e tutti gli impoveriti, sono il materiale da cui è composto il terreno sacro di Dio Padre .. “togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è terra santa! “

Non c’è solidarietà dove non si costruisce giustizia, non esiste se si mantiene una barriera tra se e l’altro, se non si mette in gioco la propria vita, se si fa elemosina senza lasciarsi coinvolgere.

Non c’è solidarietà quando la si offre senza reciprocità, scegliendo le povertà meno scomode e selezionando i bisognosi secondo i propri bisogni. La carità  non è una questione di scelta, perché non si possono scegliere le persone che bussano alle nostre porte.

Sento sempre questa rabbia, questo dolore, perciò, oggi, in ginocchio, ti chiedo di  soffiare su noi il dono  della vita e della tua misericordia: perchè non ci dimentichiamo di noi stessi e delle persone  che  in noi confidano. Nelle afflizioni, non farci dimenticare che la luce la possiamo scorgere perchè c’ è sempre, come le stelle che brillano nella notte anche quando son nascoste dalle nuvole e non le vediamo.

Come con gli angeli, i pastori, i magi, come  le stelle, rapisci e riempi la nostra anima, perchè manteniamo la freschezza e la gioia dell’ incontro e riconosciamo in esso il valore  dell’ altro, uguale e  diverso da noi, vero significato della tua nascita con noi, fra noi..

La magia e l’incanto del natale forse stanno proprio in questa riscoperta che ci permette di sperare di riannodare o intensificare quei legami che fanno la vita bella e amabile. Ed è qui che Tu, Dio della vita, continui a donarti a noi.

E il cielo stellato sono tutti i momenti in cui, con lealtà, semplicità, ci prendiamo cura dei poveri e da loro ci lasciamo “convertire”. Si, convertire! Poveri non si nasce, si diventa!

Ti scrivo perché a Natale in tanti verranno ad incontrarti, se non in una chiesa almeno in un presepe, e mi piacerebbe che chiunque incrociasse i tuoi occhi possa   incontrare “l’angelo” che  porta  il messaggio e il dono della Tua tenerezza, e  ritrovasse il senso della sua umanità. Perché oggi l’umanità ha bisogno di umanità.

Le luci natalizie già splendono per rallegrare notti sempre più lunghe e Tu ci dai  ancora appuntamento sulla nostra terra, tra i ruderi  della nostra esistenza e in mezzo ai silenzi imbronciati o imbarazzati delle nostre tristezze: non lasciare che ci abbandoniamo alla rassegnazione e riempi di luce, calore e speranza i nostri sogni, perché sentiamo il canto della vita che rimetta in moto i gesti e le parole dell’amore. Parole di pace, gesti di giustizia.

…sia questo il nostro Natale.

di Sac. Mimmo Battaglia