“Il termine profezia è strettamente connesso all’idea di Progetto Uomo. Nei 43 anni del Centro di Firenze e nei 40 della Federazione, le dipendenze e le questioni educative si sono evolute moltissimo e così sono cambiati gli strumenti che utilizziamo che si basano oggi su evidenze scientifiche. Quelli che sono rimasti intatti sono i riferimenti di valore, di senso dell’agire e in essi era insita la profezia, ancora oggi straordinariamente attuale”. Lo ha detto Luciano Squillaci, presidente della Fict – Federazione italiana comunità terapeutiche, intervenendo alla giornata di riflessione e studio sul tema “Il Progetto Uomo fra storia e profezia , dipendenze e povertà educative oggi”, organizzata dal Centro di Solidarietà di Firenze. “Tra gli elementi fondanti di Progetto Uomo, ancora oggi centrale è la consapevolezza della complessità. Allora come oggi ci si trovava di fronte a un’enorme complessità. E di fronte alla complessità non ci possono essere risposte semplici”
“La stella polare dell’intervento di Progetto Uomo è la persona intesa nella sua unicità, ma non nella sua singolarità perché viviamo costretti da un eccesso di pluralismo. Le maggiori solitudini si vivono nelle masse”. “La persona – ha chiarito – è sicuramente intesa nella sua straordinaria ‘unicità’ all’interno di un ‘contesto di relazioni, pertanto, la persona e le relazioni sono i due capisaldi, le due profezie di Progetto Uomo della Fict rimaste intatte ancora oggi”.
“Abbiamo celebrato i 45 anni della legge Basaglia – ha spiegato il presidente FICT – quella è stata una stagione di straordinaria innovazione, che non stava tanto nella chiusura dei manicomi, ma nella motivazione che portò a quella legge: considerare non centrale il luogo di cura, ma centrale la persona. Questo approccio che sembrerebbe sdoganato e banale invece a distanza di 45 anni viene continuamente tradito. Mi riferisco alla presa in carico globale della persona, per la salute mentale come per le dipendenze o le questioni educative, ma è proprio lì che fatichiamo”.
“Don Milani non aveva la risposta su tutto ma si faceva la domanda giusta. È almeno da un decennio che parliamo di povertà educativa e comunità educante e forse continuiamo ancora a parlarne perché la questione sta nella nostra incapacità concreta a costruire la comunità educante, forse perché noi la intendiamo come una metodologia o uno strumento”
“La ‘comunità educante’ come la ‘solidarietà’ sono ‘diritti’ per i ragazzi, non un fatto ipotetico. Dobbiamo iniziare nei fatti a costruire una reale integrazione, il riconoscimento e l’esigibilità di questi diritti, per non tradire i giovani”. “Per realizzare tutto ciò – ha detto Squillaci – ci manca un ultimo pezzo, un’ultima profezia, quella della speranza. Siamo malati di retrospettiva cronica. Siamo abituati spesso a lavorare sui bisogni, quindi sulle mancanze. Lavorare però solo sulle carenze è un gioco asfittico che non ci porta a guardare in prospettiva”.
“Occorre cambiare i bisogni con i sogni. Siamo diventati bravi progettisti, ma abbiamo perso la progettualità e per progettare bene, bisogna avere una visione di prospettiva. Come educatori, come cittadini, come cristiani dobbiamo avere sempre una linea di orizzonti davanti”. Squillaci ha concluso: “L’idea che anche all’interno della Chiesa che ci sia la possibilità di riflettere su una pastorale della speranza accompagnata ad alcune fragilità, come la dipendenza, provando a costruire anche lì un ragionamento ad hoc su questi temi potrebbe essere un’ipotesi di profezia in termini di prospettiva”.

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Info: Elisabetta Piccioni, Uff. stampa e comunicazione FICT, cell. 3392818398