Ancora una settimana ed entrerà in vigore la riforma della Giustizia. Si è temuto per un anno che un lungo lavoro volto all’inclusione sociale e alla valorizzazione del paradigma riparativo naufragasse con la nuova legislatura.
E invece no. La riforma della Giustizia introduce in modo deciso e codificato il concetto di Riparazione. Da molti anni si parla di Giustizia Riparativa attraverso timidi tentativi confusi con la necessità di deflazionare un sistema penale congestionato e caratterizzato da tempi lunghi.
Questa volta, però, la volontà non è volta alla celerità ma risponde alle pressanti indicazioni europee sulla necessità di introdurre un sistema di giustizia che, senza abiurare la pretesa punitiva, esprima una concezione della pena collegialmente gestita che coinvolge il territorio come risorsa inclusiva.
In questo modo assume un rilevo decisamente diverso l’esecuzione penale esterna perché assistiamo ad una diversificazione delle misure alternative che non restano più appannaggio del Tribunale di Sorveglianza, o Tribunale della pena come in passato qualcuno auspicava diventasse.
La Probation aumenta rispetto all’esecuzione inframuraria e coinvolge l’associazionismo del Terzo Settore chiamato a strutturare un sistema di welfare che consenta agli autori di reato in fascia disagiata di scontare la pena sul territorio come quelli che già godono di opportunità.
L’anticipazione della fase di Probation al giudizio di cognizione rappresenta la nuova avventura del sistema giustizia e non va confusa con la messa alla prova, notoriamente un momento di sospensione del giudizio in attesa di una condotta riparativa che produce l’estinzione del reato.
Per la prima volta si incide non sulla punibilità ma sulla categoria della penalità.
Ed ecco che prende forma la Giustizia di Comunità – a tratti definita Giustizia senza spada – che richiede la creazione di una cultura della spontaneità a dispetto della strumentalità di adesione ad un percorso Riparativo. Tutto ciò per eliminare la dicotomia tra la prescrizione e la volontarietà perché il percorso riparativo non può essere imposto.
La riforma evidenzia come sia necessario un tempo per la realizzazione dello spazio tra autore e vittima del reato al fine di accertare il contesto di realizzabilità. La celerità di un percorso riparativa inficia la sua genuinità ed esprime la strumentalità
La vera innovazione è l’affermazione di “esito riparativo”. che determina la riuscita del percorso e, di conseguenza, tutti i vantaggi processuali. L’elemento, tra gli altri, che colpisce per la sua ingerenza nella concezione è la creatività della giustizia riparativa. Da sempre si afferma che è quello che maggiormente connota un percorso di tal fatta per cui un plauso al legislatore che non mette paletti alla fantasia delle parti. È proprio l’aspetto fantasioso e generare un dialogo ma soprattutto una realtà non anticipata né anticipabile dalle parti che va a determinare l’idoneità dell’accordo.
La Giustizia riparativa entra con forza anche nella fase dell’esecuzione della pena
La misura alternativa è la risposta adeguata al processo di inclusione sociale
Le polemiche che caratterizzano la loro concessione sono inficiate dalla poca conoscenza del lavoro di
L’attuale riforma si discosta dalla visione afflittiva e rimanda alla più pura concezione riparativa respingendo l’incoraggiamento all’adesione solo attraverso meccanismi premiali.
Per questo nella relazione di accompagnamento ci si premura di ribadire come il diniego allo svolgimento di giustizia riparativa possa essere negativamente valutato per l’accesso alle misure alternative. Anche rispetto a questo assunto occorre riprendere le considerazioni espresse circa la valutazione dell’esito riparativo nel giudizio di cognizione. Il pregiudizio non espresso circa il mancato esito favorevole rimane tra le righe di una valutazione negativa per la concessione della misura.

La legge codifica la nascita dei “Centri di Giustizia Riparativa” valorizzando l’attività degli Enti del Terzo Settore che tanto hanno collaborato alla diffusione della cultura della Giustizia riparativa ancor prima che si affermasse la necessità di disciplinarla in questo modo. È evidente il contributo che il Terzo Settore ha fornito alla creazione di un pensiero capillare e diffuso che, nel tempo, è stato in grado di trasformare l’approccio della cittadinanza. Il Terzo settore ha il merito di abbattere i pregiudizi e le istanze giustizialiste che animano i cittadini.
Il Terzo Settore è sempre stato in grado di rilevare le nuove forme disagio per cui ha suggerito di affermare che la via riparativa alla gestione dei conflitti possa costituirsi come paradigma educativo in omaggio al dettato costituzionale, perché capace di creare nuovi significati e nuove opportunità di crescita
In questi anni ha realizzato momenti di socializzazione capaci di interrompere carriere devianti. Ha studiato percorsi di promozione della riparazione attraverso un patto educativo fondato sulla responsabilità che genera una risposta costruttiva di scenari non anticipabili per una nuova relazione sociale.
Sta ancora inducendo la Comunità sociale a diventare protagonista di un intervento di rete che tende a prevenire future violazioni. Ha rilevato la necessità di una rivisitazione dei criteri di convivenza sociale per la qualità della vita. In questa modalità ha da sempre incluso l’ambito penale in modo da fornire non solo una risposta alla richiesta di giustizia ma alla rigenerazione delle risposte mancate per il danno alle vittime.
Ora ci sono davvero tutti i presupposti per la Giustizia di Comunità!.
di avv. Marco Cafiero