Chi ha a cuore la prevenzione del consumo giovanile di sostanze psicoattive non può non partire da una lettura del fenomeno nell’attuale momento storico.

Non c’è dubbio che i comportamenti di consumo (non solo di sostanze psicoattive, legali e illegali, ma anche di internet, gioco d’azzardo…) siano un fenomeno connaturato dentro trend socio-culturali. È proprio questo aspetto a rendere tali comportamenti un problema sociale e culturale, una questione non solo privata o di scelte individuali, ma che investe e interroga i valori di fondo di una società.

Oggi – è percezione diffusa – viviamo in una società iperconsumistica, sorretta da potenti logiche di mercato. Una società che vive di consumo e lo incentiva in tutte le forme; che stimola costantemente il desiderio e lo impiega come “risorsa energetica” per fare profitto; che mette gli individui in una condizione di permanente sovraccarico e cronica sovraeccitazione. E se da qualche tempo la crisi ha posto un freno ai consumi, non ha tuttavia contribuito a far emergere un’etica alternativa: restiamo in attesa che la recessione finisca e si possa finalmente tornare a essere “consumatori spensierati”.

Su questo sfondo sociale occorre leggere anche il consumo di sostanze psicoattive: non per avallarlo, ma per rendersi conto che oggi “drogata” appare la forma stessa di vita in cui siamo immersi [1]. E forse proprio il diffondersi di questa “etica del consumo” spiega un aspetto inedito del fenomeno, più volte sottolineato nel laboratorio: una certa “normalizzazione” del consumo da parte degli adolescenti e dei giovani [2].

Sembrano infatti essersi abbassate le luci su un problema che, fino ad alcuni fa, catalizzava l’attenzione. Per tutti gli anni ’90 e i primi anni 2000, il diffondersi delle nuove droghe, i rave party, gli incidenti del sabato sera, trovavano vasta eco nei mass media. Ma a partire dal 2008, con l’avvento della “Grande Crisi”, l’attenzione è stata catturata dagli spettri della recessione, dello spread, della disoccupazione. Eppure i consumi di sostanze psicoattive (specie cannabis e alcol) – ce lo dicono le statistiche più recenti [3] – non appaiono in recessione.

Ora questa dimensione di normalizzazione, come ogni aspetto della vita, può essere un bene e un male.

Da un lato nessuno rimpiange la stagione dell’allarmismo, tutta legata alle problematiche della “sicurezza” e  a un periodo di “caccia alle streghe”, che creava un immaginario persecutorio verso ogni atteggiamento deviante. Quella stagione non ha contribuito a far crescere la capacità di affrontare il problema del consumo, né a dirottare risorse in politiche preventive ed educative (semmai repressive e di controllo sociale).

Dall’altro lato, però, la normalizzazione comporta una serie di rischi e di svantaggi che è bene tener presenti.

•Il primo è che al fenomeno del consumo giovanile si rischia di assuefarsi. Non se ne parla più, tranne quando capita il “fatto di cronaca” e allora i mass media, nella logica consumistica che pervade la stessa informazione (la notizia come merce sempre nuova da vendere), innescano di nuovo allarme sociale e ricerca del capro espiatorio. Senza far crescere opinione pubblica, ma solamente emotività pubblica.

•Il secondo è che, normalizzandosi, il consumo scivola fuori dalle agende politiche, avvolto dall’indifferenza, come se non costituisse più un problema. Con il rischio di legittimare i tagli alle risorse destinate alla prevenzione e all’educazione dei giovani: tagli che, come sappiamo, hanno investito particolarmente questo settore.

•Il terzo è che cresce il disorientamento degli adulti. La pervasività del consumo rende oggi molto difficile distinguere una trasgressione adolescenziale da un comportamento a rischio. Il fenomeno sembra diventato ormai costume tra i giovani, tale da poter essere incluso nella normalità più che nella devianza. Eppure, quando il problema del consumo entra in famiglia o in classe, genitori e insegnanti si scoprono spesso impreparati.

Di fronte a questa normalizzazione, un gruppo di operatori della città di Vicenza (che in questi anni hanno progettato e realizzato iniziative informative ed educative di prevenzione) ha costituito un laboratorio di ricerca e riflessione, con l’intento di proporre alla città alcune coordinate di fondo per poter leggere e affrontare il fenomeno del consumo giovanile di sostanze psicoattive. Senza allarmismi, ma senza neanche generalizzazioni o minimizzazioni.

1.Sul rapporto tra consumo di sostanze psicoattive e società consumistica, si veda l’intervista a Salvatore Natoli, Le droghe, il desiderio, la libertà, in “Animazione Sociale”, 255, 2011, pp. 3-11. Si veda anche Homo consumens (Erickson, Trento 2010) di Zygmunt Bauman.

2.I dati (scientifici e percettivi) mostrano come il consumo non sia un fenomeno esteso. Infatti il 35-40% dei giovani dice di aver, almeno una volta, sperimentato l’uso di uno spinello. Il dato più allarmante riguarda il consumo alcolico: la percentuale aumenta all’80%. Questa precisazione è utile perché decostruisce visioni e credenze semplificate sul mondo degli adolescenti, ma anche al loro interno (attenua la pressione a conformarsi all’uso dei cannabinoidi).

3. Cfr. i dati Espad-Italia resi noti il 3 maggio 2013.

Estratto da: “Dalla  prevenzione come protezione, alla prevenzione come proazione”, a cura del Laboratorio “Giovani e consumi”