“Se volete che venga, proponente ai ragazzi di fare delle domande. Scritte, messe su carta, nero su bianco”.
– Che tipo di domande? è sempre un tema delicato parlare di droghe.
“Quelle che vogliono. Senza limite alcuno. Libertà assoluta”.
– Che tipo di titolo diamo, all’incontro che terrai a scuola?
“Piacere di vivere”.
– Cosa vuol dire?
“Piacere di vivere!”.
– Mi pare strano.
Vieni in classe, così lo scoprirai”.
– L’incontro non si tiene in classe, si tiene nell’aula magna. Ci saranno tre classi di seconda media tutte assieme. Vogliamo che sia un evento. Per farli incontrare con te.
“Va benissimo”.
L’incontro è proprio là. Circa settanta ragazzi, insegnanti e qualche genitore per curiosità. Le domande (circa una trentina) sono sul tavolo. Formato e misure diverse della carta, da quelle ordinate, su un bel foglio di album, a quelle su un pezzo di carta, strappato, grande meno di una mano. Evidente: compilate insieme, lavorando per gruppi. La preside me ne aveva fatto conoscere in anticipo, via mail, i contenuti.
Quasi tutte sono centrate sulle sostanze. Il 90%.
Ottenuta attenzione e silenzio, dopo aver ringraziato per la stima a chiamare uno come me, che posso essere loro nonno, faccio una domanda.
“Quanti anni mi date?”.
Sparano a manetta, finché una ragazzina centra la mia età, 76 anni. La chiamo a venirmi a dare una mano. Lei esce contenta. Le stringo la mano e la ringrazio. Le domando il nome (che non è quello che uso qui, mia regola da giornalista, trattandosi di minore). E cerco tra le carte un foglietto.
“Parto da una domanda. Questa. Greta, la leggi con voce forte?”.
– Lei ha mai assaggiato le droghe? Sappiamo che vive e sta in comunità con quelli che si fanno.
Guardo Greta negli occhi, che vedo perplessi.
“Secondo te, Greta, ho usato droghe?”
– Boh! Non lo so.
Intelligente e scaltra ha evitato l’insidia.
Vicino a lei, comincio a girare su me stesso, molto rapidamente, per cinque volte. Tutti sorpresi, presi in contropiede.
“Greta, sei capace di girare su te stessa come ho fatto io?”
Greta arrossisce e resta perplessa.
Dai presenti, si alza un grido.
– Vai, Greta, sei capace. Dai che ti piace ballare.
Greta lo fa, non rapidamente come me. Ma lo fa. Sempre rossa in volto. Poi mi guarda e guarda i colleghi, che hanno battuto le mani.
“Greta, tu hai mai usato droghe?”.
– No, no. Noooo!
“Secondo te, Greta, uno di 76 anni, che usa droghe, può fare i giri su se stesso come ho fatto io e hai fatto tu?”.
– Penso di no. Io sono un po’ storna a fare i giri su me stessa. Lei storno, neppure un po’, meno ancora di me. Lei non starebbe così bene, se avesse usato droghe.
“Brava, Greta, mi hai dato un bel riconoscimento. Ti sono grato. Resta qui vicina, perché ho ancora bisogno di te”.
Il girotondo che ho fatto e fatto fare, è servito ad attirare l’attenzione sul corpo che sono e il suo movimento. Sul corpo che siamo, molto più che sui pensieri che formuliamo. Ho scelto il sentiero comunicativo della concretezza e dell’esperienza, la sola che attiri l’attenzione. Vera!
Passo quindi ai ragazzi e apro la sfida. Brutale e diretto.
“Non fumo, non bevo e non mi faccio. Entrando nella scuola ho visto qualcuno di voi, là fuori – indico le finestre che danno sul cortile – con la cicca accesa. Già qualcuno di voi fuma”.
Guardo dalla parte del crocchio più rumoroso e agitato, mostrando di riconoscere qualcuno visto fuori, anche se non so nulla di lui.
“Voi siete più esperti di me sulle sostanze e le droghe. E la prova è qui: le vostre domande. Mi fate delle domande così precise che mostrano tre cose: ne avete già sentito parlare, quindi sapete cosa sono; qualcuno ne ha già usate, dato che nelle domande mostra di vederne l’effetto e cerca conferma; ne conoscete pure le differenze, poiché ne usate i nomi. Non solo, qualcuno di voi già fuma
La sala è piombata nel silenzio assoluto. Le insegnanti, in piedi, postesi a guardia lungo la sala, mi guardano e si guardano perplesse. Uno specie si shock anche per loro. Nel silenzio passo in rassegna gli occhi e prendo contatto con più che posso, rapidamente ma intensamente mostrando affetto.
Poi centellino le parole.
“Non mi interessa nessuna sostanza, neppure l’alcol. Non rispondo a nessuna delle domande. Ne sapete più di me. E’ vero o no che qualcuna riguarda le ultime novità? Me le avete fatte, solo per vedere se io ne so più di voi. Voi siete interessati a questo. Io però sono ignorante su questo. Mi interessate voi, non le droghe. Voglio sapere chi siete e sentire come state. Via tutta, sta roba!”.
Giro sottosopra le domande sulla tavola, ma ne cerco una in particolare, che avevo riconosciuto prima di prendere la parola. La porgo a Greta.
“Greta leggi, forte e chiara”.
– Come si fa a evitare la dipendenza?
“Ragazzi, qual è il titolo del nostro incontro?”.
– Piacere di vivereee!
“Voi, voi così belli puliti e profumati – guardate Greta come è bella – sapete cosa è il piacere?
Dalla folla si alza un brusio, sempre più insistente e rumoroso. Invito pure Greta a fare come me, a guardare le scene. Vedo che si diverte, a vedere le scene, di cosa dicono e come si parlano. Mi indica qualcuno. Ormai pratico di queste faccende, sto per cogliere che – prima o poi – qualcuno dica o faccia cenni/gesti al sesso e alle ‘scopatine’. Termine che uso, dopo che un ragazzino me lo mise su un piatto d’argento. Tra l’altro ne racconto sempre la storia, se il momento è opportuno, dato che in quell’incontro di scuola vi erano delle ragazzine avviate alla prostituzione dalle famiglie. Infatti Greta mi indica uno che ha fatto il gesto. Sembra meravigliata che lasci correre e non intervenga.
Il ‘casino’ in corso non mi spaventa per niente.
Caccio un fischio improvviso. Poi conto fino a tre, per ottenere silenzio. Silenzio.
“Domanda. C’è qui qualcuno che ha già fatto le ‘scopatine’?”
Perplessità e risolini a manetta, con sguardi di qua e di là. Cresce il brusio. Qualcuno e qualcuna guarda diritto negli occhi le prof lì presenti, che si mostrano sorprese e allibite. Come a dire – tutti – ‘ma questo da dove viene e come si permette?’.
Allora parlo forte.
“Chi confonde il piacere con la ‘scopatina’ ha urgente bisogno di sapere – da pronto soccorso – che cosa sia il piacere. L’idea fissa lì, non serve. Può dare piacere. Infatti voi tutti siete così belli e in buona salute che papà e mamma, facendo l’amore, hanno provato piacere, altrimenti non sareste così belli”.
– Eehm!!”, dalla platea.
“Ehi, ragazzi, non è l’unico piacere”.
“Ma non posso descrivervi cosa sia il piacere, se non ho uno che sappia disegnare. Chiedo un maschietto, che sappia scrivere e disegnare bene, se occorre, e che mi dia una mano insieme a Greta”.
– Ninoo, Ninoo, vai!, sento gridare
Esce un ragazzetto, un poco robustello, che mi viene incontro sorridente e impacciato. Si pone vicino a Greta.
“Nino e Greta, portate qui in mezzo, la lavagna cartacea, da convegni”.
La lavagna risulta un poco sghemba, per lungo uso. Per cui do una mano a sistemarla e chiedo a Greta di tenerla ferma, mentre Nino scrive. Ha già preso il pennarello rosso in mano e muove le mani da esperto, soddisfatto d’essere chiamato al lavoro. Gli prudono le mani.
“Nino, desidero che tu scriva alcune lettere, belle e grandi, splendide. Il piacere è una cosa splendida”.
Nino è già col pennarello sul grande foglio bianco pronto all’esecuzione. La folla è col fiato sospeso.
“Scrivi o disegna una bella ‘P’, grande qua in mezzo. Bella, maiuscola, mi raccomando”.
La disegna in modo panciuto ed elegante, anche con gli abbellimenti.
“Subito in mezzo, scrivi ‘uguale’.”
– In lettere o come in matematica?
“Come in matematica”.
Esegue l’=.
“Adesso scrivi ‘R’, grande come P. Poi una piccola ‘a’, minuscola, quindi ‘B’ grande, un + seguito da ‘D’ grande”.
– Questa è una formula, commenta Greta.
“Bravissimo Nino, che l’hai fatta. Bravissima Greta, che l’hai detto. Questa è davvero la formula matematica del Piacere. ‘P’ significa ‘piacere’
‘P’ = R a B + D
“Ragazzi, è una vera e propria formula, molto più bella di quelle matematiche. Riguarda la vita, non è un problema da risolvere. Anzi è l’unica cosa da affrontare e risolvere: il piacere di vivere”.
– Ma cosa vogliono dire le altre lettere? Dalla platea sale come un uragano, quasi di protesta.
“Sono qua. Ecco: ‘R’ è uguale a ‘risposta’ a ‘B’ che significa ‘bisogno’, più ‘D’ che significa ‘desiderio’”.
– Aahh!
E ritorna silenzio.
“Sono venuto qui perché siete ragazzi. Vi voglio bene, anche se non vi conosco, e desidero farvi conoscere, soprattutto sentire, cosa sia il ‘piacere di vivere’. Ragazzi, una vita senza piacere che vita e? Ma un piacere senza ‘responsabilità’, che piacere è? Come detto nella ‘R’, che significa risposta, cioè responsabilità. Un piacere senza responsabilità e che porta danni, che ‘piacere è’?”.
Le facce sono rivolte a me, con un punto interrogativo sopra.
“Sono qui a parlare con voi dei vostri ‘bisogni e desideri’. Che sono pure i miei. Vi voglio nel piacere e felici. Solo così si può stare bene”.
Da quel momento la sfida e il confronto con gli adolescenti prosegue per due ore.
Tutti si sono dimenticati delle domande fatte sulle sostanze.
Faccio così dire a uno dopo l’altro, che vuole e si presenta, quali siano i suoi bisogni, i suoi desideri, i suoi sogni.
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Nota concreta emergente dall’incontro.
Il punto – vero e proprio ‘principio’ di partenza – è quello di sostituire la parola “prevenzione” con la parola “promozione” della vita e del piacere di vivere.
Quindi: promuovere indipendenza, autonomia e libertà. Esse hanno per base il ‘piacere responsabile’, cercato dentro di sé e non fuori di sé, meno che meno nelle cose. I ragazzi hanno bisogno di esserne portati alla consapevolezza, ma in modo concreto e “fattuale”.

Corollari
1° – La promozione va centrata su tutt’altro che le sostanze – non si previene, si promuove.
2° – Parlare di sostanze, descriverne caratteristiche ed effetti, per poi proibirle, dà l’effetto perfettamente opposto a quanto si vuole – ne incentiva conoscenza e uso (magari già in corso).
3° – I ragazzi ne sanno e hanno esperienza delle droghe più di educatori e degli stessi medici – lo si deduce dalle domande che pongono.
4° – Le domande contengono una sfida con gli adulti/esperti su chi ne sa di più sull’ultimissima sostanza in voga – i ragazzi sono più informati, quindi l’adulto che ‘ne sa meno di me, per me non vale niente’, effetto drastico di non ascolto.
5° – I ragazzi ammiccano sempre tra loro sull’esperto in ritardo, un modo per denigrarlo su due piedi, così come fanno con i prof o i maestri, che hanno chiamato l’esperto – la sfida diventa di curiosità intellettuale, che porta a far scomparire la ‘vicinanza/stima relazionale’, una volta vinta dai ragazzi.
Il confronto valoriale ed educativo è così perso in partenza. La curiosità mentale non è responsabilità ed esperienza, quindi non porta all’apprendimento reale, all’apprendimento sociale.
Le informazioni, le discussioni le teorie centrate sulle sostanze portano a un aumento del consumo.
La verifica con Renzo mi si è ficcata nel cuore. Mi incontrò alle medie, in scuola, all’inizio anni ’90 del secolo scorso. Aveva partecipato a uno dei miei incontri di fuoco, cui era seguito quello con i genitori e insegnanti. Lo re-incontrai in C.T. senza riconoscerlo, ovviamente. Mi si presentò lui stesso.
“Mi spiace di essere finito qui, ma sono contento di rivederti. Sono di … e a scuola media, quando sei venuto, mi hai insegnato che erano importanti le relazioni e le responsabilità per vivere bene. Per colpa del gruppo in cui sono entrato, qualche anno dopo, gruppo negativo, ho incominciato a farmi. Avevi ragione. Con la droga ho perso tutte le relazioni migliori che avevo. E ne avevo tante. Maledetta quella volta che ho cominciato. Con gli spinelli, si capisce”.
L’ho abbracciato senza dir nulla. A lungo. Dopo gli dissi soltanto: qui puoi tornare a vivere.
Pianse.

di Gigetto De Bortoli