Come si dice in fisica, ogni azione genere una reazione.
Nel caso che consideriamo qui:
1) L’azione è il contagio. Che è di competenza del medico ed il biologo; paragonando il COVID 19 ad altre epidemie del passato (in occidente) e del presente (nei paesi meno sviluppati) ha un suo impatto pesante, ma obiettivamente non dei più gravi. In prospettiva storica, quella attuale è un’epidemia fra le altre epidemie.
2) La reazione è quella del corpo sociale, della collettività. Che è di competenza del sociologo e dell’economista; e, paragonandola ad altri eventi simili del passato e del presente, è un unicum assoluto, senza precedenti storici: non era mai successo che un’epidemia abbia causato livelli di paralisi della società pari a questi.
Sono i numeri che fanno la storia
Per loro natura, i grandi contagi sono la conseguenza di grandi contatti. E i vettori per antonomasia erano gli eserciti in marcia: la peste era stata importata in Europa per la prima volta dalle legioni romane che tornavano dall’Oriente; e in seguito ha sterminato la metà della popolazione europea durante l’epidemia del 1347 – 1353, cioè in piena guerra dei Cent’anni (in verità 116, dal 1337 al 1453, la più lunga della storia), per ritornare nel ‘600 con i lanzichenecchi descritti nei “Promessi sposi” dal Manzoni. Napoleone ha portato in Russia un’armata di oltre mezzo milione di soldati, e ne sono tornati 60.000; gli altri sono rimasti vittime più delle febbri tifoidi che delle sciabole cosacche. Gli indiani del Nord America sono stati ridotti alla metà da patogeni per loro nuovi, importati dagli invasori europei: i virus del raffreddore, fra i quali il Coronavirus era già presente.
Oggi, al posto degli eserciti in marcia, ci siamo tutti noi: la globalizzazione, con i trasporti di massa, amplifica la diffusione dei nuovi patogeni; e l’urbanizzazione nelle megalopoli ne potenzia la proliferazione e le mutazioni. Per questo genere di contagi, gli apparati più colpiti sono quello respiratorio – con le polmoniti, per esempio la tubercolosi; e il digerente – con le dissenterie, come il colera. Le prime colpiscono 450 milioni di persone all’anno e causano 4 milioni di morti; l’incidenza delle seconde è ancor più difficile da stimare, ma i decessi non sono meno di 1,3 milioni/anno, soprattutto in Africa. Le infezioni sessuali, poi, sono una decina; l’AIDS da solo ha fatto 770 mila vittime nel 2018, e più di 4 milioni dal suo esordio nel 1982, al 95% nei Paesi in via di sviluppo.
Nell’equazione fra il numero dei contagiati e il numero dei morti da COVID 19, l’incognita è il numero degli asintomatici: coloro che hanno il virus, ma senza manifestazioni visibili. Se fosse vera l’ipotesi che gli asintomatici sono un multiplo dei malati diagnosticati, la mortalità dichiarata del coronavirus (5%, e fino al 10% in Lombardia, purtroppo) sarebbe altrettanto inferiore, in percentuale. E comunque ben lontano da quella di Ebola – dal 50 all’80%, a seconda dei Paesi che ha colpito; e della Rabbia – letale intorno al 100%: il fatto che da noi sia stata già eradicata non dovrebbe farci dimenticare che altrove causa 60 mila decessi all’anno.
In sintesi, i parametri di questa macabra contabilità ci dicono: tu non ti devi ammalare di COVID; ma, se ti ammali, hai almeno il 90% di probabilità di farcela.
Questi sono i fatti. E oggi dobbiamo riconoscere che la sindrome annunciata alla fine del 2019 come più o meno simile ad altre virosi influenzali degli ultimi anni, si è poi aggravata fino a sembrare adesso “the Big One”, cioè quella che periodicamente si ripresenta in forma aggressiva; anche se (per ora) il suo impatto letale è forse in rapporto di 1 a 1000 come, per esempio, quello dell’influenza Spagnola di 100 anni fa.
La logica del virus
Il Coronavirus è tutt’altro che un patogeno sconosciuto, lo avevamo già identificato negli anni ’60; e da allora ci siamo incontrati varie volte. Nella sua frenetica replicazione, questa singola specie si è differenziata evolvendo in una ramificazione di quasispecies che si somigliano fra loro, con un meccanismo frattale. Oggi ci sono almeno sette varianti del COV, di cui tre molto aggressive. Il suo serbatoio biologico sarebbero i pipistrelli: il genoma del COVID 19 umano è uguale al 96% a quello del suo cugino che infetta il pipistrello. Ma si è parlato anche di zibetti, serpenti ed altri ospiti intermedi, il che ne complica la tracciabilità. Mentre il Coronavirus che causa la MERS (Febbre del Medio Oriente) non disdegna il cammello.
Il nuovo patogeno ha una resistenza media nell’ambiente, poche ore, e per fortuna un indice di letalità relativamente basso. Ma è velocissimo nel trasmettersi da una persona all’altra attraverso l’aria, che è il suo ambiente di transizione; e, in forma acuta, è veloce anche nel portare a morte il paziente, in pochi giorni. Come tutti i virus non ha un metabolismo autonomo al di fuori delle cellule che parassita, nelle quali danneggia fra l’altro le proteine dei mitocondri: le strutture che fanno “respirare” la cellula, un po’ come i polmoni fanno respirare l’uomo.
Queste piccole specifiche del metabolismo del COVID 19, con molte altre, causano grandi effetti sulla salute dell’uomo, che vanno dall’infezione irrilevante (cioè asintomatica) fino alla morte. In un certo senso, parliamo di un gomitolo di RNA in un guscio di proteine che si trova sul confine fluttuante fra la vita e la non-vita, indifferente ed ottuso, che provoca i più grandi danni, ma secondo una sua dinamica interna: ha cause precise, manifestazioni specifiche, conseguenze inevitabili. Tutti parametri che in qualche misura possono essere studiati, e previsti, e contrastati efficacemente.
D’altronde, ogni corpo umano è un ecosistema: che è composto più da germi che da cellule proprie.
Gli animali allo stato selvaggio sono, da sempre, un serbatoio biologico importante di patogeni, e la sistematica devastazione dell’Ambiente, con l’alterazione del loro habitat, ha un effetto moltiplicatore dei rischi di contagio. Il fatto nuovo, in un certo senso l’equivalente delle megalopoli degli umani, sono gli allevamenti industrializzati, con la loro concentrazione di viventi: in entrambi i casi l’affollamento in spazi esigui e malsani crea il pabulum ideale per la proliferazione senza limiti dei germi, e il laboratorio perfetto in cui essi elaborano le loro linee evolutive; con la comparsa di specie potenzialmente patogene, tante e sempre nuove, prima di compiere il fatale salto di specie verso l’uomo.
Oggi 23 miliardi animali – polli, ma anche maiali, bovini ed altri – crescono in spazi chiusi per nutrire 7,5 miliardi uomini. La Cina, seguita dall’Australia, è leader mondiale della produzione intensiva del bestiame da allevamento. In questi paradisi microbiologici i patogeni sono liberi di creare nuovi mutanti, ed anche scambiandosi delle parti dei rispettivi genomi; fino a creare pericolosi ibridi perfino fra i virus degli uccelli e quelli umani. Quando è esplosa l’Aviaria nel 1997 i cinesi hanno dovuto sacrificare l’intera produzione di polli, dopo che l’epidemia del 1968 da Virus H3N2 aveva causato 700 mila vittime stimate; poi è toccato a 11 milioni di polli infetti, nel 2003, e 50 milioni nel 2005; e similmente per le epidemie di diarrea suina del 2016. Nel 2017 nel Nord Italia sono stati eliminati circa 3 milioni di animali allevati.
In conseguenza diretta: qualsiasi strategia di prevenzione che non sia basata sul biocontenimento in questi tre ambiti: i trasporti promiscui, le megalopoli e gli allevamenti intensivi, è condannata al fallimento.

Un fatto nuovo
E arriviamo alla seconda parte del nostro ragionamento, la più importante, quella che all’inizio avevamo definito la “Reazione” da parte delle Istituzioni e delle persone; che è una novità del 2020 completamente inedita. Nel corso delle epidemie precedenti, anche ben più gravi del COVID 19, la gente continuava più o meno a muoversi, e a operare – e a morire. Mentre oggi sono state adottate precauzioni e restrizioni senza precedenti, fino alla paralisi di buona parte delle attività ordinarie.
In premessa, dal punto di vista etico il valore di una vita umana non può essere mercanteggiato: non lo possiamo commisurare con un sacrificio economico, di qualsiasi entità, perchè sono grandezze non omogenee tra loro. Se poi parliamo non di una vita, ma di molte migliaia, il paragone diventa ancora più drastico. Nessuno quindi contesterà un’esagerazione, anche se si adottino misure di protezione che il medico raccomanda, ma che l’economista considera una grave perdita.
Il terreno comune dell’intervento di questi due professionisti consiste in tre ambiti: l’informazione, le misure di contenimento, e le proiezioni al futuro (cioè, come sempre e come in tutto, l’elaborare l’esperienza di oggi per pianificare gli interventi di domani).
1) L’informazione: ne valutiamo la quantità e la qualità.
A) La quantità è ingente; i media, praticamente, non stanno parlando d’altro. In Italia ad oggi, sono state emesse più di 150 Ordinanze e Comunicati dalla Presidenza del Consiglio, dal Ministero della Salute, dalla Protezione Civile, dall’Istituto Superiore di Sanità; e da un numero non quantificabile di altre Autorità ed Istituzioni. Sorvolando sull’attendibilità di queste esternazioni, esse sono comunque contraddittorie, a volte di difficile comprensione, ovvero effimere ed inadeguate.
B)La qualità che ne deriva è controversa, per usare un eufemismo. La mente umana ha bisogno di trovare una spiegazione per la realtà che la circonda; anche a prezzo di semplificazioni arbitrarie, che falsificano l’essenza delle cose. E le Autorità ci forniscono più indicazioni che spiegazioni. Così, oggi è di moda parlare della “percezione” di un fenomeno reale. Ora, quando il gap fra il fatto reale e il fatto percepito sarà pari a zero, allora il problema sarà risolto. Nel caso dell’epidemia da COVID 19 siamo ben lontani dalla soluzione, poiché:
*) Molti ancora immaginano un virus “nuovo”, e misterioso: no, era già ben noto anche se poi è un gene trasformista. E questa epidemia è descritta come devastante: no, se in confronto ad altre assai peggiori, ma delle quali nessuno si interessa particolarmente.
**) L’idea, insistente, di erigere “muri” di vario genere, per trasformare un territorio in una fortezza inespugnabile, è un’idiozia quotidianamente smentita dai fatti: in un Sistema che ci porta fatalmente tutti a contatto con tutti, bisognerebbe impegnarsi anche e soprattutto nella bonifica dei serbatoi biologici: nel terzo mondo, nelle megalopoli, negli allevamenti zootecnici da milioni di esemplari. Altrimenti, la spada di Damocle, di nuove specie aggressive penderà sempre sui Paesi sviluppati.
2)Le misure di contenimento
Se ne è già detto, e molto, parlando dell’informazione: è evidente.
La comunicazione e i media stanno insistendo al massimo sul distanziamento sociale fra le persone, cioè sull’evitare qualsiasi contatto: no, questo è solo il primo, indispensabile passo. Ma al contempo l’attività diagnostica deve essere generalizzata, in pratica tutti devono essere sottoposti al test; e alcuni, le categorie più a rischio, devono ripetere il tampone più volte nel tempo. Questa superdiagnostica è necessaria per portare alla luce il sommerso, quella vasta parte di popolazione infetta ma asintomatica che oggi sta alterando le nostre ricerche statistiche epidemiologiche; e compromettendo la reale valutazione del fenomeno. E il test deve essere a standard unico; quelli molteplici relativizzano i risultati.
Inoltre, anche la disponibilità delle mascherine deve essere altrettanto universale, e cambiandole frequentemente. In particolare, il modello “chirurgico” filtra l’aria in uscita e serve solo per chi è già contagiato, trattenendo le goccioline infettanti; cioè protegge gli altri, ma non chi le indossa. Mentre il modello FFP2 è quello che filtra l’aria in entrata, trattiene eventuali microbi, e protegge i soggetti sani. Ora, tornando al problema della qualità dell’informazione: la maggior parte delle persone non ha capito come e a che cosa servono, e sta usando le mascherine sbagliate. Inoltre, la produzione/distribuzione di questo DPI (Dispositivo di Protezione Individuale) è stata pessima sin dall’inizio. Tutto ciò dimostra l’inadeguatezza, se non il fallimento, dell’organizzazione di sistema.
Aggiungiamo che finora gli Ospedali, unitamente alle strutture RSA (Case di riposo…), sono stati spesso dei veri e propri incubatori del contagio, concentrando insieme molti pazienti in diversi stadi della malattia, e creando un “effetto di trascinamento” da parte dei più gravi a danno di tutti gli altri. All’opposto, sarebbe opportuno creare una costellazione di isolamenti selettivi per separare, anziché raccogliere, piccoli gruppi di pazienti in ambienti protetti scalari, a seconda del loro grado di infettanza.
3)La proiezione verso il futuro
Oggi stiamo fronteggiando un’emergenza. Per domani, dovremo agire sulle cause strutturali dell’emergenza: per evitarle, tenerle sotto controllo, o prevenirne almeno le conseguenze più gravi. Se l’emergenza in questione è un’epidemia, essa non è mai un problema isolato: ma si intesse in una trama di eventi, ambientali e biomedici, che interagiscono tra loro e provocano l’irruzione del Caos, del Disastro; e proprio per questo andranno analizzati (o decostruiti, se preferite), e poi ricostruiti all’interno di una griglia razionale.
L’epidemia è una catastrofe. In sé, la catastrofe è una frattura brusca nel corso normale (o presunto tale) delle vicende umane. Pur nel suo disordine, essa appartiene alla Storia e risponde ad un principio causale: qui il Caso non esiste, malgrado ogni apparenza. E se questo è vero per qualsiasi calamità, lo è a maggior ragione per la diffusione di un contagio. Altre catastrofi – il terremoto, l’inondazione…..- colpiscono un territorio limitato, e dalle Regioni indenni potranno arrivare soccorso e sostegno. L’attuale pandemia colpisce dovunque, nessuno è realmente al sicuro, e viene meno il bilanciamento, la distinzione fra chi ha bisogno di aiuto e chi lo può offrire.
Facendo un’autocritica, il nostro errore del passato, da correggere per il futuro, è stato innanzi tutto un indebolimento sistematico e progressivo delle risorse per il sociale – la cultura, la scuola, la ricerca scientifica – e soprattutto per la Sanità: decenni di tagli dissennati al Sistema Sanitario l’hanno portato oggi alla situazione limite di dover lavorare a pieno regime anche nell’ordinaria amministrazione, cioè al massimo delle possibilità degli organici e dei mezzi; quando scatta l’emergenza, mancherà una riserva di risorse in più per fronteggiarla. Al contempo è stata favorita l’assistenza sanitaria privata secondo un neoliberismo economico presentato come un modus operandi ovvio e ragionevole, quasi uno “stato di natura”; assistenza che tuttavia per il suo carattere non è deputata a gestire il bene comune. Se il risultato è un Sistema che non assicura ad ognuno le tutele di base, anche di fronte all’eccezionalità, questo Sistema ha fallito. O, diciamola così, ha un largo margine di miglioramento. Per fare il più semplice degli esempi: mettendo sui due piatti della bilancia il costo di forniture adeguate di mascherine e tamponi, e/o l’attuale collasso economico del Sistema: quale ci costa di più?
Per estensione generale, senza dubbio la prevenzione ha il suo prezzo; ma il follow-up di patologie che si sarebbero potute contenere, o evitare, è incomparabilmente più pesante, senza contare il prezzo dell’umana sofferenza.
In conclusione, oggi che siamo nel pieno dell’epidemia, potremmo cominciare a lavorare ad un “Manuale di sopravvivenza”: i protocolli per fare fronte. L’elenco per una prossima volta comprende quello che è mancato questa volta: 1) Una informazione essenziale, coerente e certa. 2) Una catena di comando duttile, ma soprattutto veloce e precisa: ad oggi in Italia le Regioni marciano in ordine sparso. 3) Un sostegno per burnout del personale sanitario; ed un’ampia consulenza PTSD per elaborare le fragilità almeno delle categorie più compromesse. 4) Predisporre soluzioni mirate per collettività specifiche, come il carcere. Esempi che certo non sono esaustivi, ma nel loro complesso indicano una direzione.
Oppure, per non banalizzare, potremmo tentare un’analisi in profondità, chiedendoci: l’esperienza di questa pandemia cosa ha smosso nel nostro intimo? Come siamo arrivati al blocco della vita collettiva, e con quale risultato?
Risponderemo anche a questo. Un giorno.

Andrea Castiglione Humani
Docente Scienze biologiche e Bioetica
Ist. Universitario Progetto Uomo – IPU