Fui fulminato dal contrasto tra il verde intenso delle foreste e la strada polverosa e assolata che correva maestosa fino a perderla di vista. E, quasi ,improvvisi, i colori intensi delle case, come fumi colorati, presero il sopravvento. “Prova viva dell’Amore infinito! Chiunque arrivi qui – pensai – non può fare a meno di accorgersi della grandiosità del Creato!”. Intuii che sotto a quei tetti, dentro a quei muri desolati, lì, avrei dato vita e spazio al mio “essere prete di strada”. Rimasi con la pienezza di quell’immensità fin quando arrivai in albergo.

…la delicatezza di una carezza. S. Paolo, Brasile

Al mattino, mentre la macchina mi conduceva al Centro di Accoglienza per bambini, non potei fare a meno di pensare a don Julio, e alla sua straordinaria missione. Egli è il prete che dedica il suo “giorno” ai bambini e ai ragazzi afflitti dall’AIDS, agli orfani, ai disadattati, E’ per essi il padre, la famiglia; e con essi vive nella “Casa de la vida”.
Una grande emozione mi assalì, provando un fanciullesco slancio di gioia.
La grande casa ricca di finestre, era di fronte a me.
Scesi dalla macchina, guardai il sole; gli alberi che frenavano i suoi raggi, ombreggiando qua e là sui muri grossolanamente dipinti di bianco.
Don Julio era sulla soglia della porta principale. Mi attendeva. Prima che proferisse parola mi sentii il “benvenuto” dai suoi gesti aperti e rassicuranti. Ero a casa!
Il sorriso di entrambi accompagnò festoso la stretta delle nostre mani. Don Julio mi fece strada nel suo studio. La stanza era sobria: non c’erano suppellettili, solo pochi mobili, essenziali, semplici. Come la sua vita, pensai. Poi gli spiegai le ragioni umane, profonde della mia visita.
Gli parlai della mia Comunità, dei miei ragazzi. Del loro dolore e della immensa gioia che provavo ogni volta che uno di loro usciva dal tunnel e ritornava alla vita, dignitosamente libero. Egli mi ascoltava, guardandomi dritto negli occhi, con fiera schiettezza e sana saggezza.
Era come se le nostre storie si fossero incrociate in un nuovo cammino che ci conduceva a Dio.
Don Julio interruppe la mia riflessione… “Pablo era un bambino di sette anni, gravemente ammalato di AIDS; oggi non è più con noi”. Continuò: “Un giorno mi chiese di portarlo in chiesa. Lo avvolsi teneramente fra le mie braccia; lo strinsi a me ancor di più. I suoi bellissimi occhi neri si erano fatti più grandi: vi scorsi la luce della meraviglia, che mi rapì. Si soffermò puntando il dito verso il Cuore di Gesù”.
“Perché il cuore di Gesù è fuori? Forse perché ama tanto!” mi disse.
“Certo, però, che se quel cuore è di fuori deve soffrire molto” ,aggiunse ancora Pablo.
“Quella piccola creatura mi ha dato una lezione di vita, una grande lezione di teologia. Dio ama totalmente e con la stessa intensità soffre: per l’innocenza ferita, uccisa; davanti a chi grida “aiuto” nel mare dell’indifferenza; per i poveri che cerca di proteggere con le sue mani così teneramente carezzevoli. Soffre per chi ancora non ha trovato la strada; per le madri e i padri che non hanno capito di esserlo. E quando le sue lacrime ci bagnano, cristallizzano l’armonia del Suo Amore infinito. E’ lì che nasce la speranza. La disarmante semplicità di Pablo è diventata forza profusa della mia anima”, commentò Don Julio, mentre si alzava in piedi, consapevole che aveva toccato il mio cuore. Chiusi gli occhi. Non volevo perdere nulla di quel momento: l’avrei portato con me, per sempre!
Ci avviammo, assorti, nella grande sala del pranzo. I tavoli banditi sapevano di fresco, di pulito, come i visi puliti dei bambini che si accingevano a desinare.
Tutti seguivano il loro padre, Don Julio, e lui passando da un tavolo all’altro, poggiava la sua amorevole mano, sul loro capo, invitandoli a “consumare tutto”.
La fragranza delle risa, mista a gridi striduli, mi destarono piacevolmente. Presi posto accanto a Tania che mi parlava continuamente; di fronte a me un bambino, Vito, che, improvvisamente, farfugliò qualcosa concitatamente in brasiliano, rivolgendosi a Tania. Dal suo sguardo contrito e dalla  gestualità accesa delle sue mani capii che voleva catturare la mia attenzione, facendo tacere la sua compagna. Ma Don Julio, vigile come sempre, rimproverandolo gli disse: “Chiedi scusa! Non ci si comporta così! E’ mancanza di rispetto!”. Dopo un attimo di silenzio…con voce bassa, ma con sguardo leale e aperto “Scusami, papà, non lo faccio più!” replicò Vito che, nel frattempo, aveva fatto cadere le mani sul tavolo in segno di rinuncia e comprensione. E, mentre le lacrime gli rigavano il volto, la sua mano cercò quella del suo papà, che asciugò il suo viso con una carezza e racchiuse la sua mano nella propria.
In quelle lacrime versate e asciugate… quanta tenerezza! Quella mano del figlio racchiusa e protetta nel pugno del padre…quanta delicatezza! Sentii, vidi e toccai la tenerezza e la delicatezza di Dio!
“Grazie di esistere! – sussurrai ai miei nuovi amici – per il palpito di vita che sono in grado di recepire intorno a me!”.
Quella lacrima teneramente versata e delicatamente asciugata si era trasformata in rugiada per la mia vita. Con semplicità!

Mimmo Battaglia – Presidente FICT

tratto da “Un filo d’erba tra i sassi” di Don Mimmo Battaglia, Rubbettino Editore