Non la possiamo fermare. Sono solo chiacchiere quelle di chi si fa pubblicità sui respingimenti. Non la possiamo fermare quest’onda nera, questa onda africana che si riversa potente e disperata sulla porta di un occidente spaventato, su un’isola-porta, avamposto di uno squilibrio economico che segna i nostri tempi. Ed è per questo squilibrio che non possiamo fermarla, è la legge dell’entropia, della disperazione che muove gli uomini e le storie e della speranza che li guida.

Lampedusa: apriamo le porte delle nostre Comunità…

Ancora sbarchi, a migliaia. Ancora tragedia, ancora gabbie. Si, gabbie. Come se si potesse contenere un cambiamento dietro a sbarre di ferro o l’onda potente del mediterraneo in un catino.  Eppure dentro a quelle gabbie ci sono volti, storie: ci sono persone e speranze. Sono nomi, occhi, cuori, carne, ossa, anime; sono dolore e speranza. L’oltraggio di un passato incapace di garantire un futuro, la speranza disperata di un presente che possa restituire il futuro rubato.
E noi, la nostra Italia, il nostro Sud, costretto a vestire la maschera di quella speranza, costretto ad essere una speranza nella quale non crediamo. Noi Europa.. già, ma quale Europa? Dov’è l’Europa… se non nell’Euro, nell’economia, in qualche banchetto a Bruxelles. È l’unica Europa che riusciamo a vedere. Altro non abbiamo, se non la possibilità di inseguire una Francia assetata di petrolio, di scontrarci sui nazionalismi, di costatare l’assenza di una visione comune: dov’è l’Europa in Libia, dove a Lampedusa? Ci muove la sete di oro nero, il mantenimento dei nostri privilegi, l’oro nero che non è mai stato fonte di speranza per i popoli dei paesi produttori, sempre diviso tra tiranni e mercanti occidentali.
E noi? Tu, io, voi, gente comune? Gente che conosce la fatica e il sacrifico, i sogni e la speranza, che spera ancora nella giustizia sociale? Dove siamo noi? Possiamo accettare questo in nome dei nostri privilegi? Della nostra tranquillità?
Siamo poveri, molto meno poveri certo, ma quello che abbiamo da offrire sono solo le nostre case. È per questo che dichiaro aperte le porte della mia comunità, quei pochi posti a disposizione, per accogliere qualcuna di queste vite partite dall’Africa. È per questo che, come presidente di una federazione nazionale, invito tutti i presidenti dei centri FICT di fare lo stesso. Gesti e risposte, prima che parole.  E come prete, come cristiano, chiedo la stessa cosa ai miei fratelli sacerdoti: ero forestiero e mi avete accolto, non mi avete lasciato a soffrire in un lager da cinquemila posti a Lampedusa. Apriamo le nostre canoniche e le nostre sacrestie, è l’unica risposta che, per ora , possiamo dare.
Per ora, perché abbiamo l’impegno di altre risposte, più serie e a lungo termine, staccata dall’emergenza e capaci di una lettura profetica del nostro tempo: dobbiamo leggere il cambiamento dei tempi, in un mondo sempre più collegato. Se da una parte del nostro mediterraneo c’è bisogno di democrazia e di pane, dall’altra sponda dello stesso mare c’è bisogno di etica e di una decrescita consapevole, di una riduzione dei consumi, del pane di un mondo che non è solo nostro. E scopriremo che quest’onda  nera non è uno tsunami devastatore, ma una carezza salvifica del mare, che queste donne e questi uomini, sorelle e fratelli della grande madre Africa non sono venuti solo a prendere, ma a restituirci qualcosa: il senso della vita. di questa vita, talmente più forte di noi e delle nostre disperazioni, che anche oggi, in un barcone sudicio, ha celebrato la sua potenza con la Speranza più grande di sempre: un suo nuovo figlio che nasce. Che sia un messaggio ed un augurio per ciascuno di noi.

 

Sac. Mimmo Battaglia – Presidente FICT