Il 26 giugno ricorre la XXV Giornata Mondiale contro l’abuso e il traffico illecito di sostanze stupefacenti.
Se da una parte si ha la strana sensazione che l’allarme sociale rispetto ai danni diretti e correlati all’uso di droghe si sia quasi del tutto disinnescato, dall’altro, tutti coloro che, a vario titolo, vi si ritrovano con le “mani in pasta” sanno bene che il fenomeno continua ad esserci e a manifestarsi in forma sempre più grave. E come riprova, forse, dovremmo avere il coraggio di aprire di più gli occhi iniziando a guardare le nostre città, ascoltando con maggiore compartecipazione gli operatori pubblici e privati del settore dipendenze e, ancor di più, i tanti genitori e giovani che il problema lo vivono in prima persona.

Giornata Mondiale contro la droga

Gli “spinelli”  sono ormai alla portata di tutti e non sorprende più incontrare gruppetti di ragazzi che li usano alla luce del sole; “alzare il gomito” è considerato normale; dedicare gran parte del tempo a chattare e addirittura a giocare d’azzardo da soli o in comitiva, una nuova modalità per cercare consenso e per rincorrere il brivido dell’invincibilità.
Non si tratta più di fare la differenza tra droghe leggere e droghe pesanti, si tratta ormai di fronteggiare un mercato sempre più agguerrito, flessibile e globale, per cui dal piccolo dettaglio si è passati alla grande distribuzione, non solo di sostanze ma anche di subdoli e ingannevoli bisogni.
La nostra società è ormai una società additiva; si usano sostanze per essere più in forma, per essere più magri, meno stanchi, più empatici, meno ansiosi, per essere “in”. Il mercato delle sostanze a tutto questo risponde con un fatturato che va ben oltre il prodotto interno lordo di molti paesi, e che per di più è in mano e arricchisce le mafie. Pensiamo davvero di vincere? La droga è diventata bene di consumo e quindi qualcosa che appartiene alla sfera individuale e la possibilità di abusare è diventata bandiera di libertà. Ed è proprio sull’”IO CONSUMO”, che è il primo comandamento della nostra società, che tale mercato fiorisce, si accresce, si moltiplica.
In uno scenario così, anche gli operatori sono in difficoltà perché, se è vero che per una società post-moderna essere è consumare, il consumo di sostanze è per eccellenza il miglior consumo possibile. Sappiamo bene che l’incontro con le sostanze lascia una traccia indelebile nella vita dell’individuo per cui riteniamo che sia prioritario lavorare soprattutto sui livelli di prevenzione, e senza dimenticare mai che l’educare viene prima del prevenire!
 E prevenzione non si fa con le lezioni frontali, con gli spot televisivi pagati a caro prezzo, ma si fa ricostruendo un terreno sociale educativo in cui la famiglia ridiventi protagonista come primo nucleo di una società che si voglia civile; la scuola il luogo sacro dell’apprendimento in sinergia con la famiglia e non, come ormai da più parti si avverte, in una relazione di conflitto perenne. Un terreno sociale educativo in cui, gli adulti in genere riprendano il proprio naturale compito educativo e gli stessi giovani vengano affiancati e incoraggiati a prendere coscienza delle mille strumentalizzazioni di cui sono vittime e del benessere che scaturisce dal sentirsi legittimamente parte integrante di un sistema sociale. E forse proprio a partire dalla lotta alle dipendenze potremmo ricostruire una società che in questi giorni ci pare persa, imbarbarita, malignamente malata.
Ci piace raccontare, infatti, e testimoniare soprattutto, che all’interno di questa società additiva, c’è una parte più silente che gradualmente comincia ad organizzarsi e a far sentire la propria voce: una voce che declama diritti e non solo lamentele, una voce che si traduce in spirito di servizio e di professionalità, in desiderio del bene comune e in passione per l’umanità. È la voglia di tutti coloro che, simbolicamente e non solo, hanno il coraggio di esporsi e di dire “io non mi drogo”. A dare avvio a questa cordata c’è un team di servizi pubblici e privati abitati da donne e uomini, mamme e papà, lavoratori e volontari, giovani e meno giovani, portatori di valori e di significati, prima ancora che di servizi.  Donne e uomini, accomunati soprattutto dal desiderio di contrapporsi all’incongruenza tra il dire e il fare e forti  della convinzione che un cambiamento è possibile.
Mi piacerebbe che l’attenzione rivolta a questo settore non fosse episodica per un pulmino che si ribalta, per morti per overdose, per suicidi eccellenti, o per scandali di personaggi mediatici, ma avesse la giusta continuità e la giusta attenzione che non è certo l’attenzione dei media sui fatti di cronaca, ma l’attenzione e il riconoscimento di un sistema che potrebbe far rientrare al primo posto il valore del contagio positivo, l’importanza della famiglia, l’importanza delle relazioni umane, l’importanza dell’etica e l’importanza della politica. Il 26 giugno ricorre anche l’ anniversario della morte di Don Lorenzo Milani. Penso che  non dovremmo mai dimenticare quel suo insegnamento: “ho scoperto che il problema dell’altro è uguale al mio: uscirne insieme è fare politica”.

        
Sac. Mimmo Battaglia – Presidente FICT