Il profluvio di notizie legate alla pandemia del Covid, spesso contraddittorie, che hanno allagato la mente di tutti, ha confuso anche le “sentinelle” della società (filosofi, sociologi e intellettuali) che francamente in questo momento ci sembrano assopite.
Lo shock legato all’imponente numero di decessi nelle R. S. A. a causa del Covid-19 non è servito ad un ripensamento sui valori che orientano le scelte operative in campo sociale, ma soltanto a mobilitare la magistratura che, anche se lodevolmente, non potrà far altro che perseguire le azioni inadeguate o sbagliate di esecutori di strategie che discendono in realtà da scelte di mera economia politica.
Per troppe settimane tutti sono stati presi solo dall’urgenza di accogliere e tentare di salvare solo coloro che fortunatamente e fortunosamente venivano trasportati negli ospedali o riuscivano a trascinarsi sin lì. Ma, anche tra questi, la maggior parte, se non aveva sintomi evidentissimi, veniva rimandata indietro… Tanti invece, atterriti dalle immagini dei malati intubati, rimanevano chiusi nelle loro case, scegliendo una morte umana, piuttosto che essere uno dei tanti corpi ammassati nelle strutture ospedaliere.
Molti quindi hanno preferito rinunciare alla speranza di una guarigione pur di mantenere un rapporto di vicinanza umana con i propri affetti. Hanno vissuto la malattia e spesso anche la morte in silenzio. La scelta di auto isolarsi li ha persino esclusi dalla macabra contabilità dei decessi.
E, come tutte queste persone isolate nelle loro abitazioni, così anche le strutture per soggetti che vengono definiti deboli, inadeguati, improduttivi per la società, le strutture cioè che accolgono gli “esseri in fuga,” i tossicodipendenti, i malati psichiatrici, gli scarti, sono rimaste invisibili. Periferie troppo lontane dai riflettori.
In realtà le Comunità Terapeutiche sono state ignorate dalle strategie nazionali, dimenticate.
Ma per fortuna in queste strutture, sostenute ed animate da psicologi, pedagogisti ed educatori, si è capito subito che non bastava limitarsi a fare delle richieste ad Autorità Superiori, ma bisognava rimboccarsi le maniche ed operare autonomamente delle scelte per salvaguardare i propri ragazzi.
L’isolamento è stato qui scelto prim’ancora che baluginasse alla mente degli esperti nazionali.
È stato difficile e pesante per molti ragazzi rinunciare a vedere ed abbracciare i propri figli, le proprie mogli, le madri. In parecchie centinaia di Comunità Terapeutiche italiane non si sono registrati moltissimi casi di positività al Covid-19 e non perché, come dice qualcuno, i tossicodipendenti sono immuni al Coronavirus: al contrario l’uso di droghe abbassa le difese immunitarie, non le rafforza! Ci sembra, pertanto, folle e delittuoso veicolare messaggi fuorvianti che possono ingenerare comportamenti aberranti.
Noi riteniamo che l’assenza dei soggetti dipendenti da sostanze di abuso nelle statistiche dei positivi sia legato invece all’intelligenza, alla prudenza ed alle ostinate, quotidiane attenzioni che gli Operatori hanno avuto per i loro assistiti.
Non ci siamo limitati ad aspettare improbabili risposte alle nostre richieste di strategie adeguate alle persone a noi affidate. Ed abbiamo fatto bene…
Tutti abbiamo letto sui giornali di quell’uomo che aveva insistentemente chiesto di effettuare un tampone. Ha finalmente ricevuto la chiamata, una chiamata a cui non ha potuto rispondere però: era morto da oltre un mese!
Ora però, noi, gli Operatori delle Comunità Terapeutiche, nel momento in cui si comincia a profilare la possibilità di una normalizzazione che vede riprendere i contatti con il contesto sociale e familiare, abbiamo ritenuto opportuno cercare con più forza ed avere maggiori garanzie perché le relazioni umane dei nostri giovani avvengano in totale sicurezza.
Non abbiamo ancora avuto risposte alle domande rivolte alla Presidenza del Consiglio, ed al Ministro della Sanità…. E dire che non ci eravamo rivolti a loro solo come semplici, singoli cittadini, ma come responsabili nazionali dell’Intercear, rappresentanti cioè della quasi totalità delle Comunità Terapeutiche italiane, insieme alla Federazione Italiana Comunità Terapeutiche. Ignorati…
Per fortuna però, il nostro lavoro, il lavoro di Operatori di Comunità, ci caratterizza come persone che portano speranza a coloro che sono disperati, persone che parlano di futuro a quelli che sono nauseati ed atterriti dalla vita; siamo persone abituate a camminare a braccio di quanti si trascinano nell’inferno freddo dell’afasia dei sentimenti. Siamo abituati a vivere accanto a chi è ossessionato dalla morte. La nostra storia, il nostro lungo e faticoso cammino ci ha resi forti. E, come e più di prima, abbiamo testimoniato questa forza.
Pensiamo di essere stati all’altezza dell’impegno a cui siamo stati chiamati: da gennaio fino ad oggi la maggior parte dei nostri ragazzi non ha interrotto il programma terapeutico nelle nostre Comunità.
E poi, noi, operatori del sociale, se non siamo ricchi di risorse economiche, possediamo spirito di inventiva e capacità relazionali che ci consentono di tessere rapporti umani anche attraverso ed oltre i muri e le rigide strutture della burocrazia.
E così le nostre proposte su come organizzare la vita delle comunità terapeutiche in tempo di coronavirus, se non sono state recepite dai vertici del Governo e della Sanità, sono state però valutate ed apprezzate da molti responsabili locali di diversi Dipartimenti per le Dipendenze patologiche, diventando un modello da proporre e diffondere.
Non abbiamo chiesto, ma, per primi, abbiamo dato.
E forse è per questo che abbiamo anche ottenuto quello che era giusto e logico, ma che però molti non sono riusciti ad avere. Finalmente, Venerdì, 8 maggio una delegazione dell’A.S.P. PA 6 è arrivata nella Comunità Terapeutica Casa dei Giovani di Bagheria. Chiusi nella loro tute spaziali, ma gentili e professionali, in poco più di 90 minuti hanno effettuato i famosi tamponi a ben 35 persone, ospiti ed operatori della Comunità. Una cosa questa che può apparire normale e scontata ma che per noi è stata una conquista eccezionale, una svolta.
I ragazzi avevano sentito in televisione che nelle residenze per anziani, ma anche in altre strutture che assistono giovani con problematiche neurologiche e psichiche, il virus era dilagato ed aveva devastato portando morte. E così per oltre tre mesi i ragazzi delle Comunità sono stati con l’animo sospeso, angosciati, continuando, nonostante tutto, a portare avanti i laboratori, la terapia, ma con l’amarezza di costatare che tra quella pletora di esperti che pontificavano dagli schermi nessuno aveva avuto un pensiero, una parola per loro.
Eppure tutti sapevano che i tossicodipendenti sono persone fragili, che sono immunodepressi…Ignorati!!

Casa dei Giovani
Padre Salvatore Lo Bue, Presidente

Intercear – Rete dei Coordinamenti Regionali degli Enti Accreditati per le dipendenze
Biagio Sciortino, Presidente Nazionale

FICT – Federazione Italiana Comunità Terapeutiche
Luciano Squillaci, Presidente Nazionale