“E’ necessario che a scuola si parli di droga in modo analitico, determinato, scientifico e perfino filosofico, in modo che i giovani sappiano che cosa assumono, che effetto fa, che danni procura, che piacere promette e da che visione del mondo scaturisce”.
– U. Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Milano, Feltrinelli, 2007.
La scuola come luogo della prevenzione
Il problema della prevenzione delle tossicodipendenze nella scuola è di grande attualità e rilevanza. Il consumo e l’abuso di sostanze stupefacenti è in costante aumento tra i giovani e riguarda fasce d’età sempre più precoci. La droga è un problema diffuso e grave del mondo giovanile, di fronte al quale la scuola non può e non deve rimanere indifferente: Non è possibile esistano problemi dei giovani che non siano anche della scuola, soprattutto quando la si voglia intendere nelle sue tre componenti: insegnanti, genitori e studenti.

Pre-venire la tossicodipendenza, pro-muovere il pensiero

Per la scuola, dunque, non si tratta tanto di discutere se debba o no occuparsi del fenomeno della tossicodipendenza, semmai di come se ne debba occupare.  (Cfr.: V. Andreoli, La testa piena di droga, Milano, Rizzoli BUR, 2008, p. 518.)
Partiremo quindi dal presupposto che occuparsi di droga in ambito scolastico sia una necessità: non solo nella scuola superiore, bensì a partire dalle ultime classi della scuola elementare e nelle medie inferiori –  laddove i giovani vivono quell’età fragile e di trasformazione che è la prima adolescenza, un periodo in cui il gruppo di amici spesso mette nella condizione di dover scegliere se consumare o meno tabacco, alcool, marijuana, che sono le prime droghe con cui i ragazzi vengono in contatto.
Il rischio della tossicodipendenza è innegabilmente molto alto per la popolazione scolastica e – attraverso lo strumento che le è proprio, lo strumento educativo – la scuola può incidere realmente nella prevenzione del fenomeno.
Che cosa significa pre-venire
Pre-venio (lat.), vengo prima. Prevenire significa arrivare prima ed agire in maniera tale da rimuovere o almeno da ridurre il rischio che qualcosa accada.

Prevenire la tossicodipendenza significa venire prima di lei, prima che si sia verificata. Significa inoltre agire sui fattori di rischio favorenti il consumo e l’abuso – che, ripetuto, genera dipendenza – di sostanze psicotrope a scopo non-terapeutico.
Credere nella prevenzione significa credere che sia possibile arrivare in tempo e che sia possibile farci qualcosa. Credere nella prevenzione è credere che alcuni fattori di rischio possano essere individuati e modificati.
C’è di più. Quando la prevenzione sia calata nella scuola, la prevenzione si realizza attraverso l’educazione. Credere nella prevenzione diventa allora fiducia nella possibilità di educare prima, di educare in tempo. Laddove educare non significa semplicemente informare, fornire delle nozioni.
Il significato originale ed etimologico della parola educazione viene dal latino e-ducere che significa letteralmente condurre fuori, quindi liberare, far venire alla luce qualcosa che è nascosto.
L’educazione passa attraverso l’informazione ma non si riduce ad essa. L’informazione è un mezzo fondamentale dell’educazione, la quale è però un processo complesso che promuove la fioritura globale del giovane.
E’ così che la prevenzione non può prescindere da una pro-mozione (lat., muovere avanti), da uno sviluppo cioè delle capacità critiche, intellettuali, etiche ed emotive degli studenti cui si rivolge.
Fattori culturali coinvolti nell’abuso di sostanze psicotrope
Per prevenire educando, è certamente importante – anzi fondamentale – fornire agli studenti del materiale informativo da apprendere, ma ciò non basta: è altrettanto essenziale insegnare loro a riflettere. In questo caso, si tratta di insegnare a riflettere sulle droghe (e sull’alcol) e sui loro effetti psicologici, fisici e sociali. Ma soprattutto si tratta di insegnare a riflettere su se stessi, sul proprio rapporto con la possibilità dell’uso – ormai purtroppo assai diffuso nel mondo giovanile – delle sostanze stupefacenti e sul rapporto che con essa ha il gruppo di amici.
Sul ruolo giocato dall’età, dal bisogno di essere riconosciuti dal gruppo dei pari, di non restare “soli” e di avere degli amici in relazione alla decisione fondamentale se fare o meno uso di stupefacenti. Sulla questione davvero delicata del sentire di “aver bisogno di un aiutino” per legare, per stringere amicizie, per divertirsi ad una festa, per tirarsi su il morale. Sul significato stesso del divertimento e della trasgressione. Sulla necessità di non pensare ai problemi e di rimandare – almeno per qualche serata –la necessità di risolverli o il flusso delle idee e delle angosce ad essi legate. In una sola espressione: è necessario dar modo agli studenti di riflettere sulla visione del mondo che sta dietro al desiderio dello sballo. In questo modo, non ci si concentra semplicemente sulle conseguenze nefaste cui conducono il consumo e l’abuso di droghe, ma finalmente sulle cause:…solo allora la droga può apparire per quello che è: non una dipendenza ormai diffusa su larga scala nel mondo giovanile e non solo, ma un sintomo, se non addirittura un tentativo disperato di rimedio a un disagio che pare impossibile poter sopportare.(Cfr.: U.Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Milano, Feltrinelli, 2007, p.76.)
E’ necessario dunque mettersi noi per primi in gioco, e domandarci insieme ai ragazzi:
– Ci sono situazioni che rendono “giustificabile” l’uso di sostanze stupefacenti (per es. la spinta di un gruppo e il desiderio di integrarsi)? Oppure esse si configurano solamente come delle “scuse”?
– Che cosa significa “amicizia”? Farsi degli amici deve necessariamente passare per l’uso di droghe? E ancora, quelli con cui condividiamo principalmente l’uso di droghe possono definirsi veri “amici”?
– Ci sono delle alternative alle droghe che possano fare da “leganti” per un gruppo (lo sport, la musica…)? Sono leganti migliori o peggiori delle sostanze psicotrope?
– Cosa vuol dire “divertimento”? Per divertirsi è necessario ottundere la coscienza?
– Che tipo di “piacere” si ricerca con l’uso di droghe? Quale piacere cerchiamo nella marijuana, quale nell’ecstasy, quale nell’eroina, quale nella cocaina?
Qual è il bisogno sotteso all’uso sempre più diffuso di cocaina e, in sua mancanza, al ricorso a psicofarmaci più o meno stimolanti? Abbiamo così bisogno di tono, di prontezza di prestazioni al massimo dell’efficienza che non ci facciano sentire la stanchezza, lo sforzo, la fatica? Oppure siamo così depressi che, senza quella sostanza o i suoi sostituti, non sapremmo essere all’altezza di quanto gli altri da noi si attendono o noi stessi pretendiamo da noi? E infine di che genere è quella depressione che spinge senza esitazione tanti giovani e non all’uso frequente e spesso incontrollato di questa sostanza? (Cfr.Ivi, p. 80) 
– Che cos’ è la “trasgressione”?  Derivando da trans-gredior (lat. “andare, passare oltre”), dovrebbe indicare la capacità di oltrepassare la norma. Ma la droga è ancora un tabù? O si avvia a costituire una “moda”? E se la trasgressione poi mi rende schiavo e diventa la mia norma…?
– E’ lecito quando si hanno dei problemi cercare semplicemente di “dimenticarsene” e così rimandare il momento di affrontarli?
Tutte queste domande sono profondamente filosofiche ed investono problematiche ampie, di carattere esistenziale, etico e culturale. Culturale sì, perché se è pur vero che ad ognuno di questi interrogativi ciascuno potrà elaborare risposte differenti – a seconda della propria sensibilità, del proprio modo di interpretare la realtà e di vivere le relazioni, della propria biografia o dell’educazione ricevuta in famiglia – , tuttavia in ciascuno la cultura di appartenenza giocherà sotterranea un ruolo fondamentale.
L’abilità di chi intende prevenire educando, dovrà quindi essere multiforme: si impegnerà a suscitare le domande, dovrà saper dare voce e spazio alle diverse risposte mettendole inoltre in dialogo reciproco, si indirizzerà poi a far emergere le contraddizioni insite in alcuni ragionamenti, compresi quelli che hanno a che fare con “il modo comune di pensare e/o di comportarsi” (cioè con la cultura, appunto).
In modo particolare va considerato che – al di qua del problema dell’abuso e della tossicodipendenza – , c’è il problema della difficoltà che i giovani (ma anche gli adulti) incontrano nel mondo di oggi: sovente non si sentono sufficientemente chiamati in causa, avvertono profondamente la propria inadeguatezza alla richiesta di efficienza e di flessibilità del mondo che li circonda, capita che disperino del futuro. Né la famiglia e la scuola spesso riescono più ad essere per loro adeguati punti di riferimento. Incapaci di individuare un sereno tracciato lungo il quale costruire la propria identità o punti di riferimento stabili da erigere a norma del comportamento, ad un certo momento i ragazzi preferiscono ricorrere – per dir così – alla magia: un colpo di bacchetta e la droga copre con un velo di effimero piacere ciò che non va. Nessuno del resto ha insegnato loro a fermarsi un momento, a non correre subito a zittire la sofferenza con l’uso di un farmaco, ad interrogarla e a interrogarsi. La droga diventa allora la cura totale, il rimedio che permette di non adattarsi, l’anestesia che ci esenta da qualsiasi preoccupazione. Salvo poi rovinarci la vita. (Cfr.: Per un approfondimento, oltre al già citato saggio di U. Galimberti, si veda anche il mio “Non solo terapie. Un approccio filosofico alla tossicodipendenza”, ProgettoUomo, 27 Febbraio 2009)
Secondo J. P. Sartre il comportamento magico è quello cui ricorriamo nel momento in cui vediamo intorno a noi solo problemi e nessuna soluzione:
Quando le vie tracciate diventano troppo difficili o quando non scorgiamo nessuna via, non possiamo più rimanere in un mondo così pressante e così difficile.

Tutte le vie sono sbarrate, eppure bisogna agire. Allora tentiamo di cambiare il mondo; cioè di viverlo come se i rapporti delle cose con le loro potenzialità non fossero regolati da processi deterministici, ma dalla magia. (Cfr.: J.P.Sartre, Esquisse d’une théorie des émotions, Paris, Hermann, 1939; trad.it. di A.Bonomi, L’immaginazione. Idee per una teoria delle emozioni, Milano, Bompiani, 1962, pp. 176-177)
La droga fa proprio questo: cambia la nostra percezione e ci mostra il mondo privo di ostacoli, magicamente libero da difficoltà e sofferenze. L’eroina è un sedativo che rende il mondo meno doloroso, la cocaina un’eccitante che lo fa più stimolante e meno faticoso, l’ecstasy modifica l’attività percettiva rendendolo più “comunicativo”. E tutto questo senza che io mi debba realmente impegnare per far fronte al dolore, per sostenere la fatica, per trovare la sintonia con gli altri e comunicare in modo significativo con loro.
Cura in tedesco si dice Sorge, e Freud, dopo aver fatto uso per diverso tempo di cocaina, chiama la droga Sorgenbrecher, ciò che consente di “scacciare i pensieri”, di non “prendersi cura” e, come lui stesso scrive, il più antico rimedio contro il disagio della civiltà. (Cfr.: U. Galimberti, op.cit., p. 67)
Sollevandomi dal compito di prendermi cura del mondo e di me stesso in rapporto al mondo e agli altri, le droghe mi regalano un mondo più facile e apparentemente anche più felice.
Ma già Sartre aveva ben messo in luce il pericolo insito nella magia: che la coscienza cioè diventi schiava del proprio gioco e non riesca più ad uscirne. Per questo Sartre definiva la coscienza magica envoûtée , cioè “stregata”, “incantata”, “prigioniera”.
Ciò è eminentemente vero quando l’incantesimo è ottenuto attraverso l’uso di sostanze. Gli effetti psicofisici delle droghe, infatti, quando conducono a stati di tolleranza e di dipendenza, fanno sì che l’esistenza incantata sia infine del tutto incatenata all’oggetto magico. Schiava.
Il Laboratorio Filosofico&Formativo: alle origini del progetto
Sotto la scorta di queste riflessioni, tra il 2008 e il 2009, ho iniziato ad elaborare il progetto di un “laboratorio delle idee”, capace di fare prevenzione passando per quella che ho precedentemente definito la “pro-mozione del pensiero”.
Uno spazio dedicato agli studenti, alle loro riflessioni, al confronto reciproco delle opinioni. Uno spazio per ascoltarli, questi ragazzi, e per dar loro modo di esprimere liberamente quello che pensano e sentono. Uno spazio in cui la lezione non arriva “dalla cattedra”, ma si costruisce insieme. Un percorso fatto di domande lanciate in libertà e di risposte tentate, azzardate, aggiustate di volta in volta e arricchite attraverso il dialogo e il confronto con gli altri.
Uno spazio in cui non si intima a priori “No alla droga! La droga uccide!”, ma in cui si fa riflettere sul perché spesso si dice di Sì alla droga, per poi valutare insieme se si tratta di motivazioni valide, fondate oppure dettate da fragilità, bisogno, senso d’insufficienza, o altro; in cui si riflette altrettanto sulle ragioni coinvolte nel “No”, in modo tale che il No non passi come comando ad oltranza, ma come un No fondato, ponderato, ed infine interiorizzato attraverso il confronto delle idee nel gruppo-classe.
Il Laboratorio Filosofico&Formativo: prevenzione delle tossicodipendenze e promozione del pensiero
Il primo abbozzo di questo laboratorio è stato realizzato presso alcune classi superiori di Milano nel 2009 (esperienza ripetuta nel 2010). Poi, grazie alla fiducia accordatami dall’Assessorato per le Politiche Educative del Comune di Venezia/Itinerari Educativi – in particolare nella persona della dott.ssa Valeria Frigo – , nei primi mesi del 2010, ho potuto realizzare più ampiamente un tale nuovo approccio alla prevenzione mediante “Pensiero stupefacente”, Laboratorio di Prevenzione alle Tossicodipendenze sui generis rivolto a studenti delle scuole medie inferiori e superiori.
Questo Laboratorio è stato formulato in modo tale da rientrare in un pacchetto formativo piuttosto comune (la denominazione è comunemente la seguente: “prevenzione al disagio”, “sostegno al disagio”, “prevenzione alle tossicodipendenze”, ecc…). Di solito per tali moduli infatti – sebbene solitamente affidati alle ULSS – non esiste ancora un programma rigido al quale attenersi.
Tale Laboratorio è Filosofico&Formativo, propone cioè un approccio alternativo al problema delle droghe: non è una forma di psicoterapia di gruppo, né un intervento puramente didattico. Infatti, è stato ideato per venire incontro ad una doppia esigenza: da un lato quella di informare gli studenti in modo scientifico ed esauriente sul carattere delle droghe oggi più diffuse –  sull’effetto che producono e sulle conseguenze che il loro uso può determinare sulla salute – dall’altro lato quella di indagare filosoficamente entro quale visione del mondo, in base a quali desideri e a quali speranze, molti giovani si sentano oggi indotti ad avvicinarsi alla droga quando non addirittura a lasciarsi cadere nella dipendenza.
Tutto questo non semplicemente attraverso una lezione ex-cathedra, ma con l’attiva partecipazione della classe alla riflessione comune.
Evitando la formula pubblicitaria tautologica e sterile del just say no (“Di’ di no e basta”), poco efficace perché trascura la natura del desiderio e la qualità del piacere coinvolti nell’utilizzo delle droghe, il laboratorio filosofico e formativo tiene conto dei molteplici aspetti del problema e stimola ciascuno studente a mettere in gioco la propria opinione (e le proprie emozioni) con quelle altrui.
Il Laboratorio favorisce l’apertura e il dialogo nello studente con se stesso e tra gli studenti, attraverso la creazione di uno spazio di comunicazione e di interazione “libero” e non specificamente didattico, che è raro trovare nelle scuole.
► IL CARATTERE “FILOSOFICO”DEL LABORATORIO
Nelle attività che propongo la filosofia non entra naturalmente come materia di studio, ma come attività di pensiero critico e condiviso, ovverosia come pratica di condivisione e di confronto delle idee tra i partecipanti.
I miei laboratori rivolti agli studenti hanno lo scopo di favorire lo sviluppo delle capacità critiche e di relazione di ciascuno. Essi rappresentano un momento unico, in cui i partecipanti si ritrovano a pensare insieme intorno ad un particolare tema, con la mediazione competente del filosofo.
►IL PROGRAMMA
Lo scopo della presentazione che segue è di fornire un’illustrazione più dettagliata dell’intervento, attraverso l’indicazione degli obiettivi.
OBIETTIVO: CONCRETEZZA, ovvero partire da un caso di vita vissuta, non da una lezione astratta sul tema.
Il nucleo centrale intorno a cui viene costruito il laboratorio è costituito da un testo – di mia creazione – che attraverso una narrazione semplice e lineare descrive la storia di un ragazzo – grosso modo coetaneo dello studente – che si trova di fronte alla scelta concreta se fare o meno uso di stupefacenti. La vicenda tocca insieme al problema della droga, anche tutta una serie di problematiche giovanili che fanno da contorno, quali il problema del riconoscimento da parte del gruppo, il problema della timidezza e della solitudine, il problema del’amicizia e del rapporto con l’altro sesso.
OBIETTIVO: EMPATIZZARE CON IL PROBLEMA, ovvero mettere in discussione i propri pregiudizi (di qualunque natura siano).
Il Laboratorio inizia con la lettura condivisa dei primi due paragrafi del testo e prosegue subito dopo con l’analisi critica: viene chiesto innanzitutto agli studenti se avrebbero agito o meno come il protagonista. A questo punto, sia coloro che avvallano l’utilizzo delle cosiddette droghe “leggere” sia coloro che non lo avvallano sono invitati a mettersi nei panni di chi la pensa diversamente: un esercizio scettico di antytetiché dynamis, per imparare a fare i conti con l’opinione contraria. Questo apre lo studente a considerare idee, desideri e visioni del mondo fino a quel momento passivamente rifiutati e ad indagarli criticamente. Lo scopo non è immediatamente quello di “far cambiare idea” allo studente, ma di aiutarlo a verificare la propria idea e a metterla in gioco nel confronto/scontro concreto con le idee altrui, con il modo di pensare dei propri compagni e coetanei.
OBIETTIVO: IMPARARE A FORMULARE BUONE DOMANDE. RIFLESSIONE E FORMAZIONE.
Dopo la lettura condivisa dei mancanti due paragrafi, viene chiesto agli studenti di formulare delle domande al testo (riguardanti il comportamento del protagonista oppure le circostanze in cui viene a trovarsi o anche il comportamento dei personaggi secondari, ecc.). Si tratta di capire che prima di ritenere di aver già tutte le risposte ad un problema è necessario sondare se vi siano domande ancora lasciate aperte e insolute.
In modo particolare, la discussione cercherà di sondare se le riflessioni precedentemente emerse intorno alla scelta dell’utilizzo di droghe “leggere” possano essere applicate o meno anche alla scelta dell’utilizzo di droghe “pesanti”.
In questa fase la riflessione del gruppo viene moderata in maniera tale da inserire informazioni concrete e dettagliate sugli effetti dei diversi tipi di droga e sulle conseguenze che ciascuno può avere sulla salute, e inoltre da far ragionare attentamente gli studenti sulla stessa distinzione tra droghe leggere e pesanti, che molto spesso manca di concreto significato (sono convinta infatti che i giovani debbano imparare a considerare i rischi che corrono con l’uso di ciascuna droga di per se stessa, senza farsi condizionare da paragoni più o meno leciti tra le sostanze…tutte le droghe sono pericolose! Decidere di fare uso – in modo magari massiccio e ripetuto – di marijuana solo perché, si dice, “è più leggera della cocaina” è – semplicemente – un’assurdità, né si tiene nel dovuto conto il rischio che l’abitudine allo spinello comporta sia a livello fisico che psicologico).
Questa mescolanza di riflessione attiva e formazione permette una più profonda assimilazione dei contenuti da parte degli studenti, che sentono le informazioni fornite non come pura “notizia” ma come concreto “materiale” per la riflessione personale e del gruppo, connesso inoltre alle scelte di vita.
OBIETTIVO: FEEDBACK.
A conclusione del laboratorio solitamente cerco di trarre insieme ai ragazzi alcune conclusioni e di far emergere le loro impressioni sull’incontro. Distribuisco loro inoltre del materiale informativo sul tema delle droghe (I volantini distribuiti agli studenti  sono quelli dell’organizzazione Drugfreeworld. Web-site www.drugfeeworld.org oppure – per l’Italia – www.diconoalladroga.it)  e delle strutture sanitarie adibite alla prevenzione, alla

limitazione del danno e alla cura delle tossicodipendenze.
► L’ESPERIENZA CONCRETA
Infine, due esempi dei risultati del laboratorio. Il primo proviene dall’esperienza generale con le classi seconde di un Istituto Superiore di Milano (2009).

Il secondo invece concerne una “classe-campione”, una prima superiore di Mestre – VE (2010). (Per un pieno rispetto del diritto alla privacy, è stato scelto di non fare esplicito riferimento alle scuole nominate nell’articolo e di non indicarne quindi in nome)
FEEDBACK GENERALE (Milano)
Con tutte le classi incontrate, ho potuto apprezzare un buon coinvolgimento al laboratorio da parte della gran maggioranza degli studenti. Sulla base delle opinioni raccolte (oralmente) tra gli stessi partecipanti, è stato specialmente lo spazio dedicato alla discussione (prime 2 ore e mezzo circa) ad interessare i presenti. I motivi sono molteplici:
1- La possibilità di riflettere assieme intorno a problematiche tipiche dell’adolescenza: non solo la diffusione del consumo di droghe, ma anche – per esempio
– le dinamiche legate all’accettazione da parte del gruppo di coetanei e la difficoltà di stringere vere amicizie;
2- La possibilità di esprimere la propria opinione e di sentirla “presa sul serio”, confrontandola con quella degli altri;
3- La possibilità di ascoltare le opinioni dei compagni su diversi tipi di argomento.
OSSERVAZIONI PERSONALI:
Gli studenti manifestano in generale un notevole entusiasmo per la possibilità di discutere insieme e di esprimere ciò che pensano, anche indipendentemente dall’argomento proposto: dimostrano così il bisogno di uno spazio (intra- o extra- scolastico) dedicato al dialogo e al confronto. In generale, la modalità del “dialogo filosofico” si dimostra assai utile per il coinvolgimento del gruppo-classe nella riflessione sul tema in oggetto – in questo caso la questione delle sostanze stupefacenti (se in gioco sono io, se io devo dare un’opinione, se io mi devo confrontare con gli altri è chiaro che l’interiorizzazione degli argomenti affrontati sarà più profonda, rispetto a quella ottenuta tramite le tradizionali spiegazioni ex-cathedra).
IL SIGNIFICATO DEL LABORATORIO (SECONDO GLI STUDENTI)
In base alle opinioni espresse dagli studenti – nel corso o alla fine del laboratorio – l’incontro ha lanciato loro i seguenti “messaggi”:
1) Dissuasione dall’uso di sostanze stupefacenti;
2) Necessità di avere una conoscenza adeguata degli effetti delle droghe (non solo sulla salute fisica, ma anche su quella psicologica e nelle relazioni sociali);
3) Necessità di compiere delle scelte consapevoli e responsabili;
4) Capacità di distinguere tra attività e divertimenti in grado di promuovere la conoscenza di sé e le sane relazioni con gli altri, e attività che promettono un piacere superficiale, infine illusorio, e che al contrario inibiscono la possibilità di conoscersi e di conoscere gli altri in maniera autentica. Tra le attività “sane” individuate dagli stessi studenti spiccano sport e musica; seguono poi la scuola vissuta nel modo “giusto” (cioè con interesse e perfino passione) e la frequentazione dell’oratorio.
RISULTATI DEL LAVORO-DISCUSSIONE SUL TESTO
Chiamati ad esprimere la propria opinione sul comportamento del protagonista della storia presentata a pre-testo per la discussione (“Il piacere (?) della droga”), gli studenti hanno risposto con libertà e sincerità pressoché totali.
Una sensibile maggioranza – in ognuna delle classi – ha creduto di poter “giustificare” il comportamento di colui che – per farsi accettare dal gruppo – si lascia trascinare al consumo di marijuana.
Un tale risultato appare indice 1) della diffusione della cannabis tra i giovani adolescenti, 2) del “peso” davvero fondamentale che il gruppo dei coetanei ha nel determinare le decisioni del singolo (problema sul quale è stata promossa una seria riflessione).
Gli studenti sono riusciti poi con non troppa difficoltà ad individuare le motivazioni alla base della risposta dei compagni di opinione contraria (esercizio scettico). Hanno dimostrato così, a mio modo di vedere: – elasticità mentale e capacità empatica; – creatività; – riconoscimento comune di alcuni nodi problematici correlati all’uso di sostanze (l’accettazione da parte del gruppo, e poi la fragilità personale, il bisogno del riconoscimento altrui per la propria autostima, una diffusa disinformazione sugli effetti delle diverse sostanze psicotrope, ecc…).
I ragazzi, inoltre, si sono talvolta sorpresi di come sia possibile “avvicinarsi” anche dopo essersi così decisamente separati, esprimendo opinioni tra loro addirittura contrarie. Attraverso l’esercizio scettico, infatti, idee tra loro lontane hanno la possibilità di “comunicare”. Un dato molto positivo, in favore della possibilità di ascoltarsi e di dare un valore all’opinione altrui, anche quando essa non corrisponda alla nostra.
Divisi in gruppi di 3-4, gli studenti hanno poi dovuto produrre delle domande ai protagonisti della storia. Le domande più frequenti sono state:
1) Perché Angelica (la “tentatrice”, che utilizza assiduamente sostanze psicoattive) gioca con i sentimenti di Alex (il “tentato”, protagonista della storia)?
2) Perché Angelica invece di usare droga non cambia semplicemente amicizie?
3) Perché Alex rifiuta la cocaina ma accetta l’ecstasy?
4) Perché Alex si fida di persone appena conosciute?
5) Che cosa farà d’ora in poi Alex?
A queste domande abbiamo tentato di rispondere assieme. Soprattutto gli studenti hanno avuto modo di riflettere sulla difficoltà di trovare e costruire amicizie “vere”, fondate sul bene e sul rispetto reciproci e capaci di regalare significativi momenti di condivisione. Sono stati i ragazzi stessi ad ammettere che le amicizie degne di questo nome richiedono di essere coltivate a lungo, sono rare, sono quelle in cui si può essere se stessi e in cui godiamo profondamente del rapporto con l’altro: niente a che vedere con le conoscenze superficiali intessute ad una festa, in cui il “legame” tra i partecipanti si fonda sull’uso di alcol e di stupefacenti, e in cui nessuno in realtà è davvero se stesso (DOMANDE 2 E 4).
Un’attenta analisi è stata poi riservata al personaggio di Angelica: ne sono stati messi in luce gli aspetti negativi (stupidità, fragilità, ignoranza circa gli effetti delle droghe sul corpo e sulla mente, incapacità di “uscire” dal circolo vizioso della droga, difficoltà a stringere vere amicizie, assenza di interessi). Angelica viene parzialmente giustificata solo dalla difficoltà, riconosciuta da tutti, di lasciare il giro degli amici e in generale di trovare amicizie sincere. (DOMANDE 1 E 2).
Per lo stesso motivo la maggioranza dei ragazzi “giustifica” anche Alex: trovare nuovi amici è complicato e quindi “da qualche parte bisogna pure iniziare” (quindi anche da una festa “drogata”…). Tuttavia presto si riconosce che Alex agisce per fragilità, non ha o non dimostra di avere personalità, si “adegua” per debolezza, si lascia trascinare dal gruppo per ignoranza rispetto ai danni provocati dalle droghe (in questo caso, il mio ruolo è stato di sottolineare i limiti della distinzione tra droghe leggere e pesanti: bisogna che ciascuno sia piuttosto consapevole dei danni che tutte le sostanze stupefacenti – compresa la cannabis – possono comportare, e compiere quindi le proprie scelte in modo sempre consapevole e responsabile).
Gli studenti infine riconoscono che è necessario prendere le proprie decisioni da soli, senza lasciarsi convincere dal gruppo, anche quando questo comporti delle difficoltà e delle sofferenze: è l’unico modo infatti per definire la propria personalità e per trovare amici che abbiano con noi reali affinità. Riguardo al consumo di alcol e di droghe, è inoltre evidentemente l’unica maniera di preservare la propria salute. Piuttosto di prendere la via (apparentemente) più semplice ma infine per nulla costruttiva ed estremamente pericolosa delle droghe, sarà più sensato e assai più soddisfacente dedicarsi a conoscere meglio se stessi e gli altri coltivando i propri interessi, dedicandosi per esempio alla musica o allo sport: attività nelle quali – come i ragazzi riconoscono facilmente – sono fondamentali valori come la fiducia, la lealtà, lo spirito si squadra, l’impegno…e in cui non mancano certo il divertimento e il piacere (DOMANDE 3, 4 E 5).
FEEDBACK VENEZIA MESTRE (classe-campione)
Gli studenti hanno partecipato all’attività con rispetto ed interesse.
Il numero contenuto di partecipanti, ha reso possibile a molti di esprimere le proprie opinioni e di metterle in gioco con altri.
I più silenziosi, hanno comunque dimostrato attenzione e capacità di ascolto nei confronti dei compagni più loquaci.
Nel corso della prima parte del lab., i ragazzi si sono confrontati attraverso la lettura condivisa di un testo ed hanno avuto modo di riflettere sui seguenti nuclei tematici, emersi da loro stessi e dal reciproco confronto:
1) ESERCIZIO SCETTICO
GRUPPO A, motivazioni contro il comportamento di Alex (protagonista del racconto, che decide di fare uso di marijuana)
– Fare uso di droghe è sbagliato in generale
– Non c’è distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti
– Al posto del protagonista non si sarebbero assunte droghe
– Fare uso di droghe non è necessario per stringere nuove amicizie
GRUPPO B, motivazioni a favore di Alex
– Fare uso di droghe per socializzare
– Fare uso di droghe per essere uguali agli altri
– Fare uso di droghe per dimagrire
– …Per distaccarsi dalla realtà
– …Per scaricare la tensione
– …Per piacere e abitudine
2) DOMANDE AL TESTO
Le domande sviluppate con riferimento al testo sono state:
Minigruppo1: Perché Arianna e Mirco prendono in giro Alex per non aver usato la cocaina? (dato che lo avevano invitato loro alla festa)
Minigruppo2: perché Angelica costringe Alex a prendere l’ecstasy?
Minigruppo3: Per quali altri motivi si potrebbe prendere la cocaina? (oltre a quelli indicati dai personaggi del testo)
Minigruppo4: Alex ha più fatto uso di droghe?
Gli elementi che caratterizzano la classe, sono in particolare:
– il forte rilievo dato alle dinamiche di gruppo, vissute come coattive dell’uso di droghe
– di conseguenza, la tendenza a considerare il protagonista come “vittima” (da segnalare che a lui non viene rivolta alcuna vera e propria “domanda”, poiché viene del tutto deresponsabilizzato)
– il generale prevalente rifiuto delle sostanze stupefacenti (fatta eccezione per la marijuana)
– l’attrazione per la sperimentazione (specialmente di allucinogeni), rappresentata in particolare da un paio di studenti (di cui è comunque lodevole il desiderio di informazione)
Nel corso del laboratorio gli studenti sono stati stimolati a vagliare diversi punti di vista e a riflettere:
– sulla possibilità/necessità di elaborare una scelta personale e di sviluppare una certa “libertà” dal gruppo;
– sulla possibilità/necessità di scegliere gruppi che condividano passioni più “sane” (musica, sport, studio), le quali stimolano altrettanto sane relazioni (fondate su obiettivi comuni, collaborazione, fiducia);
– sull’incapacità della droga di creare vere e proprie “amicizie” o di dar modo ai membri del gruppo di conoscersi realmente;
– sulla “fragilità” che spinge all’uso di droghe e sull’utilizzo della droga come “farmaco” che disimpegna da una reale cura di sé e delle relazioni;
– sul rapporto tra i due sessi (un accenno);
– sugli effetti e sulle conseguenze per la salute psicologica, fisica e sociale cui conducono i diversi tipi di droghe (in modo particolare: alcol, ecstasy, marijuana, cocaina/crack, amfetamine, eroina, LSD, funghi allucinogeni; è stato fatto riferimento inoltre anche a: inalanti, chetamina, PCP, benzodiazepine);
– sulla necessità di soccorrere l’amico che sta male in seguito all’uso di alcol e/o stupefacenti e sulle modalità per farlo adeguatamente.

di Maddalena Bisollo